Relazione di Mariano Sciacca all’Assemblea generale di Unità per la Costituzione

ANNO ZERO: RESPONSABILITA’ E FUTURO

Il maggio 2019 è stata la nostra, personale e collettiva, Caporetto, oggi dobbiamo fare in modo che la futura Costituzione associativa per il Futuro non sia un’effimera Costituzione di Weimar, destinata a soccombere sotto il peso della idealità priva di persone, idee e proposte.

Questi mesi drammatici ci hanno consegnato verità dolorose, scomode che non dobbiamo dimenticare e che devono essere monito e sprone.

Verità che le chat hanno confermato e consacrato nella loro oggettiva gravità e incontestabilità, ma che abbiamo subito colto, al di la di valutazioni disciplinare e penali che non ci competono,e poi denunciato non ora, ma subito dopo i fatti di maggio dal primo comitato di coordinamento del 15 giugno 2019.

Su questo voglio che tutti riflettano: Unità per la Costituzione prima responsabile di quanto è accaduto un anno fa, nel mio discorso di apertura, ha chiesto scusa ai magistrati e ai cittadini italiani e alle parole ha fatto seguire fatti e prese di posizioni coerenti.

Oggi rivendichiamo questo percorso che costituisce il viatico dell’avvio dei lavori di questa Assemblea costituente.

Oggi siamo in tanti e, soprattutto abbiamo 78 delegati espressione di tutti i distretti italiani ai quali affideremo con una vera e propria cessione di sovranità da parte di questa assemblea, il futuro e il destino di una storia associativa di 41 anni che è stata centrale per il progresso civile e giuridico dell’Italia, offrendo un contributo ai magistrati e ai cittadini italiani di moderazione e terzietà costituzionale.

Vi consegniamo questa storia.

I nomi, le storie, l’impegno di tanti.

Aldolfo Beria D’Argentine, Alessandro Criscuolo, Nino Abate, Peppuccio Gennaro insieme a tanti colleghi più o meno, tutte questa persone hanno provato a testimoniare l’esatto contrario della modestia etica con la quale proprio ieri il Presidente Mattarella ha giustamente bollato il triste presente.

A voi la responsabilità da uomini liberi, da magistrati senza alcuna aggettivazione, da liberi associati di portare questo peso, la responsabilità etica.

Noi oggi, in primo luogo il Presidente e il Segretario generale, facciamo un passo indietro volutamente affinchè siano altri a disegnare il futuro doveroso e possibile per restituire dignità e credibilità alla toga in tutte le sue declinazioni.

Ci siamo considerati, assumendoci questo fardello, il compito di traghettatori per dar fede, fiducia e testimonianza ai tanti colleghi, giovani e meno giovani, che vogliono ancora credere al magistrato culturalmente impegnato che non si chiude nella propria solitaria e solipsistica turris eburnea.

Ricordo i passi che, nel momento più buio, grazie a tutti voi siamo stati in grado di compiere.

  1. Siamo stati i primi ad intervenire per lo sfacelo che si è mostrato davanti a noi, chiedendo le dimissioni dei responsabili; nessuno gruppo associativo mai si era spinto a tanto (né oggi abbiamo registrato alcuna analoga valutazione). E’ stato fatto – con grande e sincero dolore – quello che andava fatto per restituire credibilità e onore proprio a voi che negli uffici vi impegnate quotidianamente e ci mettete cuore, anima, cervello e tempo;
  2. Abbiamo preso atto delle dimissioni dal gruppo dei colleghi coinvolti;
  3. Nella relazione introduttiva di giugno abbiamo fatto, al netto di ogni ipocrisia, una severa autocritica, riconoscendo che i gruppi associativi sono stati veicolo e strumento di una azione lobbistica gravissima;
  4. Abbiamo avviato un dibattito interno molto aspro, ma sincero proprio perché non si abbiano a ripetere simili episodi con le conseguenze a voi note, che però hanno avuto il pregio di un ulteriore chiarimento interno;
  5. Abbiamo voluto, insieme al Centro Studi, che per questo ringraziamo, uno sforzo funzionale a riaffermare la vitalità culturale del gruppo, ma soprattutto a dare un segnale preciso: ovvero che la rifondazione materiale e morale di Unità per la Costituzione passa dai contenuti, dalle idee, dalle proposte, da analisi giuridiche che siano il faticoso frutto di una sintesi e di una lettura sempre costituzionalmente orientata, pur nel rispetto della separazione dei poteri.

Come dissi subito a giugno 2019, oggi siamo chiamati ad una riflessione alta sulla politica associativa e sul ruolo delle correnti, sul funzionamento del CSM e sulla sua credibilità, al di là delle singole persone coinvolte.

Siamo chiamati ad interrogarci sulla legittimazione, sulla necessità o meno, nonché sulla strategia che un pensiero associativo organizzato, eticamente sostenuto, possa ancora avere dopo la tempesta di questo anno; quale debba essere o meno il ruolo delle correnti e dei magistrati impegnati che non accettano di stare soli con se stessi, monadi irrelate.

Questo dobbiamo, anzi dovrete fare, senza fare diventare questo momento di analisi e proposta un’occasione autoassolutoria, empia di vuota retorica.

Siamo chiamati a decidere quale debba essere ancora, se deve ancora essere, la ragion d’essere di Unità per la Costituzione, quale sia il suo progetto politico associativo, quali siano le azioni e le proposte concrete che vogliamo sottoporre ai nostri colleghi. 

Non diamo nulla per scontato.

Neanche che ancora debba, costi quel costi, esistere una realtà associativa come Unità per la Costituzione.

Lo decideranno i delegati.

Dico solo che sarete giudicati non solo e non tanto per le nuove regole di impegno associativo e statutario che individuerete, ma per come in concreto dopo testimonierete quelle parole e quelle regole.

Solo se, individuate le regole, si sarà capaci di reggerle e darvi coerente attuazione, allora il vostro lavoro potrà avere un senso e sarà un segnale per tutta la magistratura italiana.

Dobbiamo ascoltare e spiegare:

 –         se e perché oggi crediamo nel sistema delle incompatibilità tra attività associativa e incarichi istituzionali;

– Se riteniamo – e perchè – che il sorteggio dei decisori sia solo cieco affidarsi al crudele gioco di una roulette russa in cui il grilletto in mano lo avranno ancor più in mano le lobby e le massonerie di turno, arbitre della terribile solitudine del baciato dalla Sorte,

–  se vogliamo una valutazione meritocratica e quindi discrezionale della carriera dei magistrati accettando il guanto di sfida lanciato dal nuovo ordinamento giudiziario  o se preferiamo un ripiegamento sulla sola anzianità di servizio, temperata con la valorizzazione di una congrua anzianità di servizio e nuove oggettive verifiche dei risultati;

Il compito è arduo  perché la vergogna e il fallimento è enorme e le apparentemente salvifiche parole d’ordine del moderno populismo (investitura di un leader salvifico,  esaltazione della partecipazione diretta – eventualmente solo telematica – degli associati non più mediata da corpi intermedi, la distruttiva contestazione del sistema, dei professionisti dell’associazionismo, l’assalto indiscriminato alla “casta”,  il fumoso e poco convinto invito all’autoscioglimento delle correnti) sono sirene potenti e obnubilanti che conducono al definitivo scivolo per lo svuotamento finale del ruolo culturale e progressivo dell’associazionismo giudiziario e l’abdicazione definitiva in favore del solipsismo giudiziario.

Siamo e saremo ancora chiamati a pagare dei costi umani, culturali ed elettorali e ne dobbiamo accettare il peso con lungimiranza politica e culturale: il nostro futuro si decide da oggi e l’unica possibile ricetta che vedo, l’unico metodo al quale dobbiamo votarci è quello di essere rigorosi e coerenti.

Dire di no, quando un no va pronunciato.

Di dire di si, offrendo un progetto culturale moderno, nazionale, coerente e concreto.

Avere la forza di saper perdere e di volere vincere sul piano delle idee e delle proposte.

Dobbiamo avere la capacità individuale di vivere la quotidianità associativa secondo una prospettiva più ampia che sia illuminata dall’accettazione – senza se e senza ma – di una coerente moralità pubblica della quale dobbiamo essere primi testimoni.

Solo così potremmo tentare di convincere le nuove generazioni di magistrati che può esistere ancora un centro reale e credibile di elaborazione culturale; un affidabile centro di proposta associativa che non cede alle sirene dei lumi di chiesa o dei lumi di officina, per citare il mio amato Montale.  

Costituzionalmente terzi.

Oggi siamo chiamati ancora all’impegno, illuminato – ripeto – dalla morale pubblica, dalla coerenza e dalla concretezza.

Essere rigorosi e propositivi, senza accondiscendere a nuove sirene o alle urla della piazza.

 Essere riformisti nel senso più profondo e complesso.

In senso culturale e non politico.

Ovvero riuscire ad essere portatori sani di riforme meditate ma reali.

Oggi, dentro l’Assemblea che stiamo per costituire, conteranno le persone e le idee, non per quantità ma per qualità, piuttosto che gli schieramenti e le conventicole.

I fatti di maggio ci parlano di una politica senza qualità della quale siamo corresponsabili.

Abbiamo imparato la lezione, spero, di cosa voglia dire abdicare al proprio impegno personale, delegare al Potente o ai Maggiorenti di turno la rappresentanza officiosa, dimentichi della legittimità democratica rappresentativa che deve rilevare all’interno di ogni comunità organizzata.

Nessuno può assolversi.

Parlo almeno della mia generazione e di quelli che in buona fede e fidando in un riformsmo lento ma di testimonianza civile operosa si sono impegnati nell’associazione, pensando di potere fare la differenza.

Vi chiediamo – ancora una volta – scusa.

Sinceramente.

Oggi questo fardello, così triste e pesante, lo portiamo proprio per senso di responsabilità e onore.

Per rendere onore alle parole e alle idee, professate nello statuto di Unità per la Costituzione.

Il Presidente Mattarella nel celebrare il 2 giugno post Covid-\19 ci ha ricordato, celebrando la Costituzione italiana che Fu lo “spirito costituente il motore della rinascita”, perché “seppe unire gli italiani nella convinzione che insieme si potevano affrontare le estreme difficoltà del Paese”. Fu “l’unità morale il vero cemento che ha fatto nascere e tenuto insieme la Repubblica, che ci fa riconoscere oggi il nostro destino comune”…. c’è qualcosa che viene prima della politica e che segna il suo limite; qualcosa che non è disponibile per nessuna maggioranza e per nessuna opposizione: l’unità morale.

La condivisione di un unico destino, il sentirsi responsabili l’uno dell’altro, una generazione con l’altra, un territorio con l’altro, un ambiente sociale con l’altro. Tutti parte di una stessa storia, di uno stesso popolo”.

Facendo le debite proporzioni, sono queste parole che oggi ci consentono di comprendere quale sia la consegna di questa Assemblea per il Futuro; futuro incerto, amici miei, che, come venne ricordato per i componenti dell’assemblea costituente nel 1948 fu – ed è oggi – una condizione di vantaggio che consente a voi tutti di potere lavorare sotto il “velo d’ignoranza”.

Ignoranza che vi dà oggi la liberta di potere essere, solo che lo si voglia, depositari di un impegno, libero da vincoli di sorta, per disegnare un nuova Carta associativa dei magistrati italiani, costituzionalmente terzi, che restituisca onore e credibilità alla magistratura italiana.

Costantino Mortati ha scritto, tanti fa, della «“coscienza costituente” del popolo», ricordandoci che «in fondo il valore sostanziale della costituente […] è di natura spirituale, è in quel “sovraeccitamento della vitalità popolare”, in quello stato d’animo di “audace fiducia in sé e nel futuro”, di cui parlava il Mazzini».

A partire dalla Rivoluzione francese chi parlato della questa grandezza che viene denominata potere costituente ha fatto richiamo alla “coscienza giuridica forte”, che deve esserci in un popolo che si attivi come potere costituente, che «porta in sé uno “spirito” che può prendere forma – ed effettivamente anche la prende – in istituzioni, regole e procedure. Mancando ciò, nessun postulato, per quanto ben fondato, può essere causa della validità di qualcosa che nel popolo, o nella nazione, non vive come spirito autonomo»

Oggi questa coscienza e questo spirito forte deve essere il presupposoto per avere fiducia in sé e nel futuro.

E’ al contempo un dovere e una speranza.

Abbiamo bisogno di sperare.

E non per noi, non per garantire la sopravvivenza di Unità per la Costituzione, ma per chi non si identifica nel progetto associativo che abbiamo provato a testimoniare anche in questi mesi, opponendoci ad una bipolarizzazione dell’agone associativo.

Mi congedo da voi e faccio mie il richiamo di ieri della Presidenza della Repubblica ha rivolto a tutti i magistrati italiani, in occasione della cerimonia per il 40esimo degli assassinii ad opera del terrorismo rosso dei magistrati Nicola GiacumbiGirolamo MinerviniGiudo GalliMario AmatoGaetano Costa e per il 30esimo dell’uccisione per mano della mafia del giudice Rosario Livatino:

Il Presidente Mattarella ricorda che questi Magistrati “hanno svolto la loro attività, con coraggiosa coerenza e autentico rigore, senza rincorrere consenso ma applicando la legge. Fedeli soltanto alla Costituzione. È questa l’unica fedeltà richiesta ai servitori dello Stato a tutela della democrazia su cui si fonda la nostra Repubblica…

Questo è il momento di dimostrare, con coraggio, di voler superare ogni degenerazione del sistema delle correnti per perseguire autenticamente l’interesse generale ad avere una giustizia efficiente e credibile. E’ indispensabile porre attenzione critica sul ruolo e sull’utilità stessa delle correnti interne alla vita associativa dei magistrati”.

All’intera società è richiesto il rispetto di un’etica civile che chiama tutti alla responsabilità: ogni cittadino, ogni istituzione, ogni settore sociale.

A tutti e a ciascuno è richiesto il coraggio di abbandonare atteggiamenti fondati su prospettive limitate, di corto respiro, che, distorcendo la vita delle istituzioni, rischiano di delegittimarle.

È un dovere istituzionale che grava su ciascuno.

E che non può essere eluso.”.

Concludo.

Oggi siamo, anzi, siete chiamati alla concordia discors ovvero trovare, scovare riscrivere «quale sia il significato e il potere dell’armonia discorde delle cose»: il compito è arduo, ma – credo- ne vale ancora la pena.

Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili.» (Rosario Livatino, nato il 3 ottobre 1952 assassinato dalla mafia 21 settembre 1990).

Io vi auguro con tutto il mio cuore buon lavoro.

Mariano Sciacca

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