Scheda CEDU: Cass. 41007/2017, ne bis in idem, sanzione della radiazione e sanzione penale

CLASSIFICAZIONE

Divieto di bis in idem  – Operatività – Fattispecie: radiazione ex art. 110, comma 2, lett. a), n. 2 Reg. CONSOB n. 16190/2007; rapporti tra le fattispecie di cui agli artt. 166 e 196 TUF

RIFERIMENTI NORMATIVI

Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea – CDFUE, art. 50

Convenzione EDU, art. 4 Protocollo annesso n. 7

C.p.p., art. 649

PRONUNCIA SEGNALATA

Cass. pen., Sezione II, n. 41007 del 22 maggio / 24 settembre 2018. 

Abstract.

Con la sentenza segnalata, la II sezione penale della Corte di cassazione è intervenuta a delineare l’ambito del divieto di bis in idem, con riguardo alla rapporti tra la sanzione (formalmente) amministrativa della radiazioneexart. 110, comma 2, lett. a), n. 2 Reg. CONSOB n. 16190/2007 e la sanzione penale prevista per il reato di cui all’art. 166, comma 1, TUF, e, più in generale, i rapporti tra le fattispecie di cui agli artt. 166 e 196 TUF.

Entrambi i problemi sono stati risolti escludendo l’effettiva sussistenza delle invocate violazioni dell’art. 4, Prot. n. 7, annesso alla Convenzione EDU, nonché l’asserita illegittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p., in dichiarata adesione agli orientamenti della Corte EDU, richiamando, in particolare, quanto al carattere sostanzialmente penale, o meno, di una sanzione formalmente amministrativa, i cc.dd. “criteri Engel”, e, per quanto più in generale riguarda il divieto di bis in idem, i principi affermati dalla Corte EDU, Grande Chambre, nel caso A. e B. c. Norvegia.

1. Nel caso esaminato dalla II Sezione penale con la sentenza segnalata, gli imputati erano stati dichiarati colpevoli del reato di cui all’art. 166, comma 1, D.Lgs. n. 58 del 1998 (TUF), per avere esercitato abusivamente attività di investimento e di gestione collettiva del risparmio nel territorio italiano.

Alcuni imputati, in ricorso, avevano, tra l’altro, denunciato la violazione dell’art. 649 c.p.p. in relazione all’art. 4, Prot. 7, della Convenzione (avendo già riportato condanna, per gli stessi fatti, alla sanzione amministrativa della radiazioneexart. 110, comma 2, lett. a), n. 2, Reg. Consob n. 16190/2007, misura alla quale doveva asseritamente attribuirsi natura penale, in ragione della sua gravità e della sua strumentalità alla tutela dei medesimi interessi sottesi alla norma penale); in subordine, era stata proposta questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p., per contrasto con la citata normativa convenzionale, nella parte in cui non prevede una specifica causa di improcedibilità dell’azione penale in caso di precedente applicazione definitiva di sanzioni amministrative particolarmente afflittive.

Altri imputati avevano denunciato difetto di motivazione in ordine al rapporto intercorrente tra le fattispecie di cui agli artt. 166 e 196 TUF (asseritamente in rapporto di specialità che escluderebbe il rapporto di progressione criminosa affermato dalla Corte di merito in modo del tutto assertivo e che imporrebbe l’applicazione dei principi espressi dalla giurisprudenza convenzionale – in particolare nella sentenza emessa nel caso Grande Stevens c. Italia – sulla preclusione da giudicato dell’azione penale per uno stesso fatto già oggetto di precedenti sanzioni nominalmente amministrative ma aventi sostanzialmente carattere penale, come dovrebbe ritenersi, nel caso di specie, per quelle applicate ai ricorrenti ai sensi dell’art. 196 TUF).

2.  La II Sezione, premesso che eventuali vizi motivazionali della sentenza impugnata sulla questione della specialità non ne comporterebbero comunque l’annullamento, trattandosi di questione di diritto che il giudice di legittimità ha il potere di risolvere anche d’ufficio, ha osservato che gli artt. 166 e 196 TUF

<<contengono elementi di specialità reciproca, perché, da una parte, l’art. 166 è applicabile a “chiunque”, mentre le sanzioni amministrative previste dall’art. 196 si applicano solo ai consulenti finanziari iscritti nello specifico albo (nel senso che il diverso ambito dei destinatari della sanzione amministrativa e della sanzione penale costituisca elemento specializzante, cfr. ad es., Cass. S.U. 10939 del 28 ottobre 2010, nr. 1963/2011); e, per converso, l’art. 196 si applica a tutte le possibili violazioni delle norme di comportamento stabilite dal TUF, anche non costituenti reato. La specialità reciproca, tuttavia, resta fuori dall’ambito della previsione degli artt. 15 cod. pen. e9 l. 689/1981, perché l’applicazione esclusiva di una sola delle norme a confronto potrebbe discendere, in pratica, dall’utilizzazione dei criteri di sussidiarietà e consunzione (o assorbimento), ritenuti dalle Sezioni unite di questa Corte tendenzialmente in contrasto con il principio di legalità (v. sentenza 20 dicembre 2005 n. 47164, Marino, rv. 232302-4), in particolare con il principio di determinatezza e tassatività, perché fanno dipendere l’applicazione di una norma penale da incontrollabili valutazioni intuitive del giudice (per una pregevole ricostruzione dogmatica dei criteri di identificazione dei casi di concorso apparente di norme vedi Cass. Sez. un. 1963/2011). Gli artt. 166 e 196 TUF si differenziano, inoltre, per l’elemento soggettivo, essendo ovvio che le sanzioni amministrative previste dalla seconda disposizione siano applicabili anche per semplice colpa, negligenza o trascuratezza, mentre il reato di abusivismo finanziario è perseguibile a titolo di dolo, da tanto essendo possibile rilevare un elemento strutturale diversificato nell’art. 196 rispetto all’art. 166 (per l’influenza non “specializzante” ma “differenziatrice” del diverso atteggiarsi dell’elemento psicologico nelle fattispecie a confronto, vedi Cass. Sez. U, Sentenza n. 13954 del 06/07/1990 , Rv. 185544; Sez. 3, Sentenza n. 3539 del 20/11/2015 Cc., dep. 2016, Rv. 266133)>>.

2.1.Ha, inoltre, ritenuto che il legislatore del TUF ha inequivocabilmente inteso di stabilire il cumulo delle sanzioni penali e amministrative rispettivamente previste dalle norme in commento:

<<Gli artt. 166 e 196 sono inseriti, infatti, nello stesso testo normativo, senza che né l’una né l’altra disposizione contenga clausole di riserva o riferimenti al principio di specialità che impongano di definire e limitare le rispettive aree di applicazione, omissione tanto più significativa se si considera che clausole simili sono inserite qua e là nel testo normativo con riferimento ad altre violazioni (cfr., ad es., l’art. 192-bisTUF). D’altra parte l’art.9 L. 689/1981 non è norma presidiata da garanzie costituzionali e può sicuramente essere derogata da leggi ordinarie, con l’unico limite del rispetto del principio di ragionevolezza e proporzionalità stabilito dall’art. 3 Cost. E non è senza interesse osservare, al riguardo, che l’art. 15 cod. pen., ultimo inciso, prevede esplicitamente che il principio di specialità possa non operare anche quando ne ricorrerebbero astrattamente le condizioni, se così “sia diversamente stabilito”. La convivenza delle due disposizioni in commento nello stesso apparato normativo, senza alcuna indicazione di interferenze reciproche capaci di delimitarne la sfera di applicazione, già si traduce nella chiara indicazione della volontà espressa del cumulo da parte del legislatore del TUF; come si vedrà meglio più oltre nell’analisi della questione del ne bis in idem sostanziale, il cumulo risponde anche ad una logica repressiva complessiva, che non può prescindere dal concorso dei due tipi di sanzione (su questi principi, cfr. Cass. Sez. un 1963/2011 più volte citata, pag. 9, dove l’affermazione che l’art.9 L. 689/1981 costituisce un’importante chiave di lettura a favore dell’applicazione del principio di specialità in tutti i casi in cui ad una condotta penalmente sanzionata si aggiunga -soprattutto se ciò avvenga con riferimento a norme poste nell’ordinamento in tempi successivi- una disciplina normativa che la preveda anche come violazione di natura amministrativa, salvo però che non risulti, da una previsione espressa o da ragioni logiche implicite o da altre considerazioni, che il legislatore abbia inteso affiancare la sanzione amministrativa a quella penale)>>.

3. Con più specifico riferimento all’invocata violazione dell’art. 649 c.p.p. in relazione all’art. 4, Prot. 7, Conv. EDU, fondata sul riferimento alle sanzioni amministrative applicate per gli stessi fatti nei confronti degli stessi ricorrenti ai sensi dell’art. 196 D. Lgs. n. 58 del 1998 (secondo le difese, particolarmente afflittive, e come tali di natura sostanzialmente penale, con la conseguenza che sarebbe illegittima la duplicazione punitiva espressa nel parallelo giudizio penale), e dal rinvio ai principi affermati dalla Corte EDU nella causa “Grande Stevens contro Italia” del 4 marzo 2014, il collegio ha evidenziato che le deduzioni difensive minimizzavano la portata dell’intervenutorevirement segnato, rispetto alla decisione emessa dalla Corte EDU nel caso “Grande Stevens c. Italia”, da quella emessa dalla Corte EDU, Grande Chambre, nel caso “A. e B. c. Norvegia”:

<<Nella Sentenza Grande Stevens era in gioco l’applicazione dell’art. 187 ter D.Lgs 58/1998 relativo alle sanzioni pecuniarie applicabili nel caso di condotte di manipolazione del mercato finanziario, che prevedeva, all’epoca dei fatti, nei confronti dei soggetti responsabili, salve le eventuali responsabilità penali, la sanzione amministrativa pecuniaria da euro ventimila a euro cinque milioni, aumentata fino al triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dall’illecito quando, per le qualità personali del colpevole, per l’entità del prodotto o del profitto conseguito dall’illecito ovvero per gli effetti prodotti sul mercato, esse dovessero apparire inadeguate anche se applicate nel massimo. In concreto, con provvedimento n. 15760 del 9 febbraio 2007, la CONSOB aveva comminato ai ricorrenti le seguenti sanzioni amministrative -5.000.000 EUR -3.000.000 EUR – 500.000 EUR -4.500.000 EUR al pecuniarie: al sig. G., al sig. G. S., al sig. M., alla società E., -3.000.000 EUR alla società G.A. Parallelamente, i ricorrenti erano stati inoltre rinviati a giudizio per il reato di cui all’art. 185 comma 1 TUF, secondo cui chiunque diffonde notizie false, o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro ventimila a euro cinque milioni. La Corte EDU ritenne il carattere penale del procedimento amministrativo in ragione del grado di gravità delle sanzioni di cui erano a priori passibili i ricorrenti, essendo peraltro le ammende applicate, visto il loro ammontare, di una innegabile severità che comportava per gli interessati conseguenze patrimoniali importanti, e accolse, conclusivamente, il ricorso sotto il profilo della ritenuta violazione del principio delne bis in idem, che avrebbe dovuto comportare la preclusione dell’avvio di un separato processo penale per gli stessi fatti>>.

3.1. Ciò premesso, il collegio ha ritenuto di tutta evidenza l’impossibilità di stabilire significative analogie tra il caso Grande Stevens e la vicenda oggetto del procedimento in esame, nei confronti degli imputati cui era stata irrogata la sanzione amministrava pecuniaria prevista dall’art. 196 TUF, contenuta, nella comminatoria di legge, in un importo compreso tra euro 25.823 ed euro 129.115 (così quintuplicata rispetto alla meno severa previsione originaria dall’art. 39, comma 3, L. n. 262 del 2005):

<<Adottando il criterio quantitativo della “Grande Stevens”, non si può certo dire che si tratti, in astratto, di sanzioni particolarmente afflittive, tanto più se riguardate in relazione agli astronomici importi delle sanzioni pecuniarie inflitte ai ricorrenti del caso Grande Stevens; e se riguardate, ancora, nella prospettiva dei lauti guadagni consentiti dall’attività di consulente finanziario, bastando considerare, a quest’ultimo riguardo, l’ammontare delle provvigioni percepite da alcuni dei promotori concorrenti del B. in ragione degli investimenti procurati a quest’ultimo (lo S. aveva incassato ben 757.774 euro, il P. 184.544 euro, il P. 182.000 euro, il C. (promotore non professionale) 141.425 euro (…). Non solo, ma l’importo della sanzione pecuniaria amministrativa prevista dall’art. 196 non è nemmeno sovrapponibile al ben minore importo della multa comminata dall’art. 166, come lo è, invece, nel caso degli articoli 185 e 187-ter TUF, derivandone la ragionevolezza dell’inasprimento “amministrativo”, in quanto complementare al precetto penale. Tutto ciò, senza dire che la sovrapponibilità è esclusa, in concreto, nella fase esecutiva, dal disposto dell’art. 187-terdecies TUF, che limita l’esazione delle sanzioni amministrative pecuniarie alla parte eccedente la pena pecuniaria inflitta all’esito di un giudizio penale>>.

3.2. Diverso è stato ritenuto il caso degli imputati cui era stata irrogata la sanzione della radiazione dall’albo professionale prevista dalla lett. d) dell’art. 196 TUF, misura considerata di particolare severità, in relazione alla quale è stato ritenuto necessario un maggiore approfondimento del rapporto tra sanzioni amministrative e penali sotto il profilo del rispetto del principio del ne bis in idem.

In proposito, il collegio ha valorizzato i principi elaborati dalla giurisprudenza convenzionale, che trovano approfondita puntualizzazione dogmatica nella decisione relativa al caso A e B contro NORVEGIA:

<<Le difese si sono limitate, al riguardo, all’assertiva considerazione che quest’ultima decisione rileverebbe solo nell’ambito tributario e fiscale oggetto della specifica controversia, ma nei ricorsi non si rinviene alcuna argomentazione giuridica idonea a sostenere l’affermazione. Peraltro, che il problema del cumulo tra sanzioni amministrative e penali si ponga in modo diverso nell’ordinamento tributario rispetto ad altri ordinamenti particolari, non solo non è sostenibile sul piano logico giuridico, ma la decisione del caso Norvegia contiene esplicite indicazioni della riconsiderazione della questione all’interno di un quadro dogmatico generale. La Corte l’affronta, infatti, con riferimento alla propria precedenza giurisprudenza sull’applicabilità del ne bis in idem nel rapporto tra procedimenti penali e procedimenti amministrativi, ricordando, tra l’altro (pag. 72)che “a partire dalla sentenza Serguei Zolotoukhine, e come avveniva già in precedenza, la Corte ammette che l’imposizione, da parte di autorità diverse, di sanzioni diverse per lo stesso comportamento è permessa in una certa misura a titolo dell’articolo 4 del Protocollo n. 7, sebbene vi sia una decisione definitiva. Questa conclusione si può intendere come fondata sull’idea che il cumulo di sanzioni nelle cause di questo tipo deve essere considerato come un tutt’uno e, di conseguenza, sarebbe artificioso vedervi una ripetizione di procedimenti che implicano che l’interessato è stato «perseguito o punito penalmente (…) per un reato per il quale è (o era) già stato condannato con sentenza definitiva», in violazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 7”; e la ricapitolazione dei precedenti viene effettuata, dai giudici convenzionali, anche con riferimento a cause non aventi ad oggetto controversie tributarie (vedi pagg. 55 e ss. )>>.

3.3. Il collegio ha ricordato che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, nel caso in cui si profili un contrasto fra una norma interna e una norma della Convenzione EDU, il giudice nazionale, nel caso non sia possibile un’interpretazione della norma interna in senso conforme a quella convenzionale, non può disapplicare la prima, ma deve proporre una questione di legittimità costituzionale; ed, in particolare, nella più recente sentenza nr. 102/2016, si è rilevato, in sostanza, che l’applicazione del principio del ne bis in idem nel rapporto tra procedimenti penali e amministrativi potrebbe vanificare il sistema del doppio binario, e interferire con i principi costituzionali di determinatezza e legalità della sanzione penale e di ragionevolezza e parità di trattamento:

<<ma nel caso di specie non si pone nessun problema, neanche di ordine costituzionale, rispetto all’applicazione del cumulo delle sanzioni nei confronti del B. e dello S., non essendo possibile ravvisare alcun contrasto con la normativa convenzionale del sistema del doppio binario disegnato negli artt. 166 e 196 TUF, neanche con riferimento alla più grave sanzione amministrativa della radiazione dall’albo unico dei promotori finanziari. L’art. 166 stabilisce soltanto le sanzioni penali “essenziali” nei confronti di chiunque si renda responsabile di condotte di abusivismo finanziario, senza prevedere alcuna sanzione interdittiva consequenziale alla condanna; l’art. 196 si incarica di completare la risposta repressiva con la previsione di sanzioni amministrative, tra le quali quelle di carattere interdittivo, previste dalle lett. c) e d), applicabili, peraltro, anche nel caso di condotte violative delle norme di comportamento stabilite nel TUF non costituenti reato. Si tratta, quindi, all’evidenza, di norme non sovrapponibili, ma complementari, alla stregua di un criterio di valutazione della legittimità del cumulo esaminato anche dalla CEDU nel caso Norvegia>>.

3.4. Si è, inoltre, osservato che  

<<considerare, nella specie, esclusivamente la “gravità” della sanzione della radiazione non può quindi in alcun modo risolvere il nodo della legittimità del cumulo con l’obbligata applicazione del principio delne bis in idem, che condurrebbe oltretutto a risultati assolutamente incongrui ed iniqui. Il criterio della severità della risposta repressiva va integrato, infatti, con il criterio sistematico funzionale, che consideri, tra l’altro, la eventuale riconducibilità della sanzione amministrativa a specifici interessi dell’ordinamento particolare di riferimento, nell’ambito di una visione dogmatica organica e coerente nell’analisi della legittimità del sistema del doppio binario, dalla quale va bandito ogni eccesso di pragmatismo. In questo senso, è agevolmente rilevabile che la sanzione della radiazione che si ricolleghi in concreto alla previsione dell’art. 166 TUF ha per presupposto non tanto il singolo fatto storico di abusivismo finanziario, ma la sua proiezione sintomatica sulla valutazione dei requisiti di onorabilità e professionalità dell’iscritto all’albo, e sull’opportunità di espellere dall’ordinamento professionale soggetti rivelatisi assolutamente indegni di continuare a farne parte, in quanto capaci di reiterare anche nel futuro condotte gravemente lesive degli interessi della trasparenza del mercato finanziario e dell’affidabilità dei suoi operatori. E davvero non si comprende, in quest’ottica, perché mai la radiazione dovrebbe costituire un’ancora di salvataggio dell’interessato dagli effetti propriamente penali della sua condotta; e perché mai, al converso, la sanzione penale che intervenisse irrevocabilmente prima della sanzione amministrativa dovrebbe consentire al condannato di continuare ad esercitare la stessa attività professionale già strumentalizzata a fini criminali>>.

3.5. Il collegio ha, infine, rilevato che anche i tempi dei paralleli procedimenti penali e amministrativi risultavano compatibili con il requisito della concentrazione temporale, ricompreso nei cc.dd. criteri Engel:

<<è da ritenere, in proposito, che il requisito della concentrazione temporale vada apprezzato anche in funzione delle esigenze di coordinamento tra i due tipi di procedimento sottolineate nella citata sentenza della Corte Costituzionale nr. 102 dell’8 marzo 2016 come presupposto di un trattamento sanzionatorio complessivo armonico ed equilibrato e in quanto tale conforme al principio di ragionevolezza sancito nell’art. 3 Cost.; e vada apprezzato anche in rapporto alle inevitabili differenze di velocità dei due procedimenti. E’ evidente, quindi, che le relative valutazioni debbano di norma riferirsi alle fasi procedimentali iniziali. Nella decisione del “caso Norvegia”, peraltro, la Corte EDU fa riferimento (pag. 77, par. 115) ad una serie di cause in cui i procedimenti amministrativi e penali erano stati condotti in parallelo per un certo tempo, conclusi, bensì, con il giudizio che vi fosse stata violazione del principio delne bis in idem, ma senza fare riferimento al criterio del “nesso materiale e temporale sufficientemente stretto”>>.

D’altro canto, il TUF dedica il capo V ai rapporti tra procedimenti, espressamente prevedendo una stretta integrazione istruttoria tra i due procedimenti amministrativo e penale (cfr. art. 187-decies, intitolato “Rapporti con la magistratura”):

<<è ovvio, quindi, che l’interessato si trovi, nelle battute iniziali degli accertamenti delle violazioni del TUF, e per larga parte della durata della relativa istruttoria, al centro di un sistema sanzionatorio e di modelli procedimentali “integrati” nelle rispettive articolazioni amministrative e penali, e che i successivi accidenti della tempistica dei due tipi di procedimento, oltretutto possibili anche in ragione di esigenze di coordinamento delle diverse risposte repressive, non possano in alcun modo interferire con la prevedibilità del concorso delle sanzioni. Ed è ormai sufficiente aggiungere che, nel caso di specie, i procedimenti penali iniziarono tra il 2009 e il 2012 (cfr. i riferimenti alla date di iscrizione a r.g.n.r. contenuti nell’epigrafe della sentenza del Tribunale di Firenze del 29 gennaio 2015) e che le sanzioni amministrative furono irrogate nel 2012, ovviamente al termine di una istruttoria precedente, che avvicina ancora di più le tempistiche dei due procedimenti>>.

4. Per tali ragioni, la II Sezione ha conclusivamente escluso l’effettiva sussistenza delle invocate violazioni dell’art. 4, Prot. n. 7, annesso alla Convenzione EDU, nonché l’asserita illegittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p.