Scheda su SSUU legge Pinto: Rapporti tra giudizio di cognizione e processo esecutivo

[classificazione]

CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI – EQUA RIPARAZIONE PER IRRAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO – QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE

[riferimenti normativi]

Convenzione EDU, artt. 6 e 13

Costituzione, artt. 111 e 117

Legge n. 89/2001, artt. 2 e 4

[sentenze segnalate]

Cass. civ., Sezioni  Unite, sentenze nn. 19883/2019, 19884/2019, 19885/2019, 19886/2019, 19887/2019, 19888/2019, ud. 18.6.2019, dep. 23.7.2019

Con le sei sentenze in rassegna – che fissano un nucleo compatto di principi di diritto sulla cui base i ricorsi per cassazione ivi esaminati vengono, alcuni, accolti e, altri, rigettati – le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione tornano  –  per la quarta volta in dieci anni, dopo gli interventi del 2009 (sentt. nn. 27348 e 27365), del 2014 (sentt.   dalla n.6312 alla n. 6318) e del 2016 (sent. n. 9142)  –  sulla vexata quaestio del rapporto tra giudizio di cognizione e giudizio di esecuzione ai fini del riconoscimento e della quantificazione dell’equa riparazione del danno da durata non ragionevole del processo, con particolare riferimento al processo avente ad oggetto, a propria volta, l’indennizzo di cui alla legge n. 89/2001 (c.d. “Pinto su Pinto”).

Nelle controversie definite con dette sentenze si discuteva infatti – sotto le diverse angolazioni derivanti dalle diversità dei casi concreti oggetto di giudizio – delle seguenti questioni:

  1. Se il termine di decadenza per la proposizione del ricorso per l’equa riparazione da durata non ragionevole di un procedimento Pinto decorra dalla definitività della fase esecutiva in tutti i casi o solamente nei casi in cui l’esecuzione venga iniziata entro sei mesi dalla definitività del giudizio di cognizione.
  2. Quando debba collocarsi,  ai fini dell’individuazione della ragionevole durata del processo, l’inizio e la fine della fase esecutiva eventualmente intrapresa dal creditore nei confronti dello Stato-debitore.
  3. Se il tempo intercorso fra la definitività della fase di cognizione e l’inizio della fase esecutiva vada considerato come “tempo del processo”, da ricomprendere nel computo della durata unitaria del processo di cognizione ed esecutivo; o se, invece, esso rilevi come mero ritardo nell’esecuzione, indennizzabile  – quale pregiudizio autonomo e diverso dal tempo del processo (di cognizione e) di esecuzione –  in via diretta ed esclusiva (in assenza di rimedio interno) dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
  4. Se il termine di 120 giorni di cui all’art. 14 del d.l. n. 669 del 31 dicembre 1996, conv. dalla legge n. 30 del 28 febbraio 1997,  produca effetti ai fini della ragionevole durata del processo esecutivo.
  5. Se il  giudizio di ottemperanza promosso all’esito della decisione di condanna dello Stato al pagamento dell’indennizzo di cui alla l. n. 89/2001 vada considerato pienamente equiparabile al procedimento esecutivo.

Le Sezioni Unite risolvono tali questioni enunciando i seguenti principi di diritto.

  1. Ai fini della decorrenza del termine di decadenza per la proposizione del ricorso ai sensi dell’art. 4 della legge n. 89/2001, nel  testo modificato dall’art. 55 d.l. n. 83/2012, conv. nella l. n. 134/2012,  risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 88/2018, la fase di cognizione del processo che ha accertato il diritto all’indennizzo a carico dello Stato-debitore va considerata unitariamente rispetto alla fase esecutiva eventualmente intrapresa nei confronti dello Stato, senza la necessità che essa venga iniziata nel termine di sei mesi dalla definitività del giudizio di cognizione, decorrendo detto termine dalla definitività della fase esecutiva.
  2. Ai fini dell’individuazione della ragionevole durata del processo rilevante per la quantificazione dell’indennizzo previsto dall’art. 2 della l. n. 89/2001, la fase esecutiva eventualmente intrapresa dal creditore nei confronti dello Stato-debitore inizia con la notifica dell’atto di pignoramento e termina allorché diventa definitiva la soddisfazione del credito indennitario.
  3. Nel computo della durata del processo di cognizione ed esecutivo, da considerare unitariamente ai fini del riconoscimento del diritto all’indennizzo ex art. 2 l. n. 89/2001, non va considerato come “tempo del processo” quello intercorso fra la definitività della fase di cognizione e l’inizio della fase esecutiva, quest’ultimo invece potendo eventualmente rilevare ai fini del ritardo nell’esecuzione come autonomo pregiudizio, allo stato indennizzabile in via diretta ed esclusiva, in assenza di rimedio interno, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
  4. Il termine di 120 giorni di cui all’art. 14 del d.l. n. 669 del 31 dicembre 1996, conv. dalla legge n. 30 del 28 febbraio 1997, non produce alcun effetto ai fini della ragionevole durata del processo esecutivo.
  5. Il giudizio di ottemperanza promosso all’esito della decisione di condanna dello Stato al pagamento dell’indennizzo di cui alla l. n. 89/2001 deve considerarsi sul piano funzionale e strutturale pienamente equiparabile al procedimento esecutivo, dovendosi considerare unitariamente rispetto al giudizio che ha riconosciuto il diritto all’indennizzo.

Particolarmente rilevante è il principio  sub 1),  al quale è strettamente correlato il principio  sub 3), che torna ad intervenire su una  questione su cui la giurisprudenza di legittimità ha, fino ad ora, stentato a trovare un approdo definitivo, vale a dire  la questione del rapporto fra durata del giudizio di cognizione e durata delle giudizio di esecuzione, ai fini della determinazione della durata del giudizio e, quindi del riconoscimento e della quantificazione dell’ indennizzo spettante per la durata eccedente il limite di ragionevolezza.

Nel  2009, come è noto, le Sezioni Unite  avevano predicato l’assoluta autonomia del giudizio di cognizione e del giudizio di esecuzione, con la duplice conseguenza che il tempo del primo e quello del secondo giudizio non potevano essere sommati, ai fini della verifica del superamento della durata ragionevole di cui alla legge 89/2001, e che il termine per azionare il diritto all’ equa riparazione per l’irragionevole durata del giudizio di cognizione decorreva dalla conclusione di tale giudizio, a prescindere dalla eventuale instaurazione di un procedimento di esecuzione.

Con le sentenze del 2014, specificamente rese con riferimento a giudizi Pinto,  le stesse Sezioni Unite  per contro, recependo le indicazioni provenienti dalla Corte di Strasburgo, qualificarono il giudizio di cognizione e quello di esecuzione (o di ottemperanza) come due fasi di un unico giudizio, volto a dare soddisfazione al diritto ivi azionato; donde la  cumulabilità della durata di entrambe le fasi, ai fini dell’accertamento dell’eventuale superamento dei limiti di ragionevole durata del processo,  e la possibilità di agire per l’ equa riparazione del giudizio di cognizione nel termine decadenza decorrente dalla conclusione del procedimento di esecuzione.

Con la sentenza del 2016, riferita ad un caso di durata non ragionevole di un giudizio civile “non Pinto”, le Sezioni Unite ritennero poi di dover circoscrivere l’ambito applicativo dell’orientamento enunciato nel 2014 e affermarono – al dichiarato scopo «di preservare la certezza delle situazioni giuridiche e di evitarne l’esercizio abusivo» – che la valutazione unitaria dei procedimenti di cognizione e di esecuzione, ai fini della verifica del rispetto dei limiti di ragionevole durata del processo, potesse essere operata solo nei casi in cui il giudizio di esecuzione era stato introdotto entro sei mesi dalla definizione del giudizio di cognizione.

Quest’ultimo orientamento è stato ora, ancora una volta, ribaltato con le sentenze in rassegna che, tornando sostanzialmente alle posizioni del 2014, hanno affermato che il giudizio di cognizione e quello di esecuzione costituiscono un unicum,  ai fini della tutela del diritto alla ragionevole durata del processo riconosciuto dall’articolo 6  CEDU, con la duplice conseguenza che, per un verso, le relative durate si sommano e, per altro verso, il termine di decadenza per l’esercizio dell’azione di equa riparazione (ossia per l’instaurazione del giudizio “Pinto su Pinto”) decorre dal momento della conclusione del giudizio di esecuzione (identificato in quello della definitiva soddisfazione del credito indennitario) anche nei casi in cui tale giudizio sia stato instaurato (con la notifica dell’atto di pignoramento) dopo il decorso di sei mesi dalla conclusione del giudizio di cognizione (vale a dire, dal passaggio in giudicato della sentenza che ha riconosciuto e quantificato l’equa riparazione).

Quanto al tempo intercorrente tra la definizione del giudizio di cognizione e l’instaurazione del giudizio di esecuzione, le pronunce del 2019 hanno affermato –  anche qui in sostanziale continuità con gli arresti del 2014 – che esso non può essere considerato “tempo del processo”  e, quindi, non può essere indennizzato secondo il rimedio interno di cui alla legge 89/2001; tale tempo, tuttavia – in quanto tempo di ritardo nell’esecuzione a cui lo Stato debitore è tenuto a provvedere, secondo la giurisprudenza convenzionale, anche in assenza di iniziative del creditore – può peraltro costituire fonte di un pregiudizio autonomo e distinto rispetto a quello derivante dall’irragionevole durata del processo; pregiudizio il cui indennizzo, in assenza di rimedio interno,  può essere richiesto direttamente ed esclusivamente indennizzabile alla Corte EDU.

A fondamento del revirement rispetto alla sentenza del 2016 le  Sezioni Unite del 2019 pongono proprio la necessità di ancorarsi saldamente  alla giurisprudenza della Corte EDU, teorizzando esplicitamente – con richiamo a SSUU n.33208/2018, C. cost. n.49/2015, C. cost. nn. 24 e 25 del 2019 – che la funzione del giudice nazionale è  «quella di cooperare attivamente, anche attraverso l’interpretazione convenzionalmente orientata, alla protezione dei diritti fondamentali, dialogando con la giurisprudenza delle Corti costituzionali e sovranazionali in modo da offrire un livello elevato di protezione dei diritti fondamentali».

In particolare, nelle sentenze in rassegna si fa leva, per un verso, sulla sentenza della Corte EDU Bozza c. Italia, del 14 settembre 2017 e, per altro verso, sulla vicenda della cancellazione dal ruolo della Corte EDU della causa Di Blasi e altri c. Italia (ríc. n. 42256/2012, dec.).

Nella  sentenza Bozza c. Italia (concernente una vicenda originata dalla illegittima durata di un processo “non Pinto”) la Corte EDU – dopo aver ricordato che, secondo la propria giurisprudenza, l’ esecuzione fa parte integrante del “processo”, ai sensi dell’articolo 6 CEDU (sentenze  Hornsby c. Grecia, del 19 marzo 1997, Silva Pontes c. Portogallo, del 23 marzo 1994, Di Pede e Zappia c. Italia del 26 settembre 1996, Bourdov c. Russia del 7 maggio 2002) – distingue nettamente tra debitore-privato e debitore-pubblica amministrazione, stabilendo che, nel primo caso, agli Stati contraenti spetta soltanto garantire l’assistenza necessaria affinché il diritto rivendicato trovi la sua effettiva realizzazione (potendo rispondere dei ritardi dell’esecuzione soltanto se le autorità pubbliche implicate nelle procedure non diano prova della diligenza richiesta o impediscono l’esecuzione stessa), mentre, nel secondo caso, lo Sato risponde per il fatto stesso della  ritardata soddisfazione del credito recata dal titolo esecutivo; si veda, in termini, Bozza c. Italia § 45: «quando viene pronunciata una sentenza contro lo Stato, il privato che ha ottenuto una sentenza contro quest’ultimo non deve di norma avviare un procedimento distinto per ottenerne l’esecuzione forzata (Metaxas, sopra citata, § 19). È sufficiente che sia regolarmente notificata all’autorità nazionale interessata (Akachev c. Russia, n. 30616/05, § 21, 12 giugno 2008) o che siano espletati alcuni adempimenti processuali di natura formale (Chvedov c. Russia, n. 69306/01, §§ 29-37, 20 ottobre 2005, e Kosmidis e Kosmidou c. Grecia, n. 32141/04, § 24, 8 novembre 2007). Il suo obbligo di cooperare non deve tuttavia eccedere quanto strettamente necessario all’esecuzione della decisione e, in ogni caso, non esonera l’amministrazione dall’obbligo di agire di propria iniziativa e nei termini previsti (Akachev, sopra citata, § 22, Bourdov, sopra citata, § 35, e Koukalo c. Russia, n. 63995/00, § 49, 3 novembre 2005), in particolare organizzando il proprio sistema giudiziario (si vedano, mutatis mutandis, Comingersoll S.A. c. Portogallo [GC], n. 35382/97, § 24, CEDU 2000 IV, e Frydlender c. Francia [GC], n. 30979/96, § 45, CEDU 2000 VII)».

Quanto alla causa Di Blasi e altri c. Italia – introdotta dai ricorrenti dopo che la loro domanda di equa riparazione,  presentata oltre sei mesi dopo la definizione della giudizio presupposto svoltosi dinanzi al Tar Lazio, era stata giudicata inammissibile nonostante l’ esperimento del giudizio di ottemperanza per l’esecuzione del giudicato amministrativo – la stessa fu cancellata dal ruolo dalla Corte EDU, ai sensi dell’art.37, § 1 lett. c), CEDU,  dopo che il Governo italiano aveva offerto ai ricorrenti una somma a titolo d’indennizzo, depositando la dichiarazione che «les requérants… ont subi la violation de l’article 6 § 1 della CEDU, selon les principes exprimés per la Cour EDH dans le affaires Di Pede c. Italie,…Hornsby c. Gréce.., Metaxas c. Grèce…et Burdov n.2 C. Russie».

 Va altresì sottolineato come le  sentenze in rassegna rimarchino la piena efficacia e vincolatività di una  decisione della Corte EDU che disponga  la cancellazione della causa dal ruolo sulla base della dichiarazione di riconoscimento della violazione di un diritto fondamentale, richiamando, sul punto, il precedente di Cass. pen., n. 50919/2018, Frascati, nonché la disposizione di cui all’articolo 1, comma 421, della legge 27 dicembre 2013 n. 147, introduttiva di  una norma di interpretazione autentica secondo la quale, ai fini del diritto di rivalsa dello Stato per gli oneri finanziari sostenuti per la definizione delle controversie dinanzi alla Corte EDU,  sono comprese anche le controversie concluse con decisione di radiazione o cancellazione della causa dal ruolo ai sensi degli articoli 37 e 39 CEDU.

Le sentenze in esame traggono quindi, dai convergenti segnali offerti dalla Corte EDU con la pronuncia della sentenza Bozza c. Italia e con la cancellazione dal ruolo della causa Di Blasi e altri c. Italia, la conclusione del definitivo assestamento della giurisprudenza convenzionale nel senso della non necessità di promuovere la fase esecutiva nei confronti del debitore quando questi (e soltanto quando questi)  coincida con lo Stato e, conseguentemente, affermano che, per poter considerare unitariamente il giudizio di cognizione ed il giudizio di opposizione aventi ad oggetto l’accertamento e la soddisfazione di un credito nei confronti dello Stato, non vi è alcuna necessità che il giudizio di esecuzione venga introdotto entro il termine di sei mesi dalla conclusione del giudizio di cognizione, essendo lo Stato «tenuto ad adempiere l’obbligazione pecuniaria senza che sia possibile individuare una condotta abusiva da parte del creditore che rimanga inerte, in attesa dell’adempimento spontaneo del debitore-Stato».