Sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato e misure cautelari – art 420 quater c.p.p.

A cura di Sergio Enea (giudice penale presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere)

1. La sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato – tipologia e requisiti

Una tra le più attese novità introdotte dalla riforma Cartabia (decreto legislativo n. 150 del 10 ottobre 2022) afferisce alla definizione dei procedimenti nei confronti di quegli imputati non presenti in giudizio e per i quali non può essere pronunciata declaratoria di assenza ai sensi dell’art. 420 bis c.p.p..

Il mancato perfezionamento della notifica dell’atto introduttivo del giudizio, unitamente all’assenza di quegli elementi menzionati al 2° comma dell’art. 420 bis c.p.p., alla stregua dei quali desumere che l’imputato fosse a conoscenza del procedimento, determinava una vera e propria stasi del processo penale, che veniva sospeso a norma dell’art. 420 quater c.p.p.. Il processo rimaneva pendente sul ruolo del magistrato giudicante, che era annualmente tenuto ad effettuare le ricerche di cui all’art. 420 quinquies c.p.p..

Il perdurare della sospensione del procedimento in molti case ne determinava una stasi sine die, anche in ragione del fatto che l’originaria previsione di un limite temporale alla sospensione della prescrizione era venuta meno a seguito dell’abrogazione della previsione di cui all’art. 159 ultimo comma c.p., ad opera dell’art. 2, comma 1, lett. a), L. 27 settembre 2021, n. 134.

Il processo rimaneva, dunque, pendente sul ruolo del magistrato giudicante, che doveva annualmente reiterare le ricerche dell’imputato non reperibile.

Era pertanto quanto mai auspicabile l’introduzione di una disciplina che consentisse di addivenire alla definizione di tali procedimenti, onde evitare defatiganti ricerche sovente coronate da insuccesso.

La soluzione adottata dalla riforma Cartabia, trasfusa nel novellato art. 420 quater c.p.p., prevede che, ove non possa essere dichiarata l’assenza dell’imputato non presente in giudizio a norma dell’art 420 bis c.p. (e fuori dai casi di impedimento a comparire di cui all’art. 420 ter c.p.p.), il giudice pronunci sentenza inappellabile di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato.

I dubbi in ordine alla natura della sentenza in esame possono ritenersi fugati dalla relazione illustrativa alla riforma (recentemente pubblicata sul supplemento straordinario alla G.U. n. 245 del 19 ottobre 2022), che ha espressamente affermato che la sentenza resa ai sensi dell’art. 420 quater c.p.p. deve ritenersi definitoria del processo, che andrà dunque archiviato.

Il legislatore ha previsto che comunque le ricerche dell’imputato perdurino pur dopo l’emissione della sentenza ex art. 420 quater c.p.p. e, in caso di esito positivo, determinino la revoca della sentenza stessa. 

Il periodo entro il quale devono essere effettuate le ricerche dell’imputato è però temporalmente predefinito, non potendosi prolungare oltre il doppio dei termini stabiliti dall’art. 157 c.p. ai fini della prescrizione del reato per cui si procede.

Decorso tale termine la sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo non può più essere revocata e ciò porrà fine alle ricerche, determinando altresì la definitiva cessazione delle misure cautelari di tipo custodiale eventualmente disposte a carico dell’imputato.

Dalla lettura del novellato art. 420 quater c.p.p. salta immediatamente all’occhio la singolare struttura della sentenza in esame, concepita come un provvedimento che, oltre a definire il giudizio, contiene anche una citazione a comparire ad udienza fissa. Così, oltre ai tradizionali elementi che compongono la sentenza, riproducenti il dettato dell’art. 546 c.p.p. (l’intestazione “in nome del popolo italiano”, l’indicazione dell’autorità che l’ha pronunciata, le generalità dell’imputato e delle altre parti private, l’imputazione, la motivazione sub specie di descrizione dell’esito delle notifiche e delle ricerche effettuate, il dispositivo, la data e la sottoscrizione del giudice), è previsto che la sentenza contenga l’ordine di prosecuzione delle ricerche dell’imputato fino a che non sia superato il termine previsto dall’ultimo comma dell’art. 159 c.p. (il doppio del termine ordinario di prescrizione), nonché una vera e propria citazione a comparire ad un’udienza predeterminata.

La sentenza, infatti, conterrà:

a) l’avvertimento alla persona rintracciata che il processo a suo carico sarà riaperto davanti alla stessa autorità giudiziaria che ha pronunciato la sentenza;

b) quando la persona non è destinataria di un provvedimento applicativo della misura cautelare degli arresti domiciliari o della custodia in carcere per i fatti per cui si procede, l’avviso che l’udienza per la prosecuzione del processo è fissata:

1) il primo giorno non festivo del successivo mese di settembre, se la persona è stata rintracciata nel primo semestre dell’anno;

2) il primo giorno non festivo del mese di febbraio dell’anno successivo, se la persona è stata rintracciata nel secondo semestre dell’anno;

c) l’indicazione del luogo in cui l’udienza si terrà;

d) l’avviso che, qualora la persona rintracciata non compaia e non ricorra alcuno dei casi di cui all’articolo 420 ter c.p.p., si procederà in sua assenza e sarà rappresentata in udienza dal difensore.

In tal modo il legislatore intende assicurarsi che l’imputato sia già edotto della data in cui si celebrerà il processo, fin dal momento in cui gli viene notificata la sentenza in esame.

È altresì previsto che le informazioni circa l’udienza fissata per il prosieguo del processo siano ulteriormente dettagliate dalla polizia giudiziaria allorché avrà rintracciato l’imputato e gli avrà notificato la sentenza, atteso che in quel momento sarà tenuta a dare avviso della data effettiva dell’udienza, individuata nella sentenza.

Per rendere tale previsione effettiva, il nuovo art. 132 ter disp. att. c.p.p. prevede che i dirigenti degli uffici giudiziari adottino i provvedimenti organizzativi necessari per assicurare la celebrazione, nella medesima aula di udienza, il primo giorno non festivo del mese di febbraio e il primo giorno non festivo del mese di settembre di ogni anno delle udienze destinate alla riapertura dei procedimenti definiti con sentenza ex art. 420 quater c.p.p..

Non può non rilevarsi che una siffatta determinazione appare ultronea, laddove sarebbe stato sufficiente al momento del rinvenimento dell’imputato notificargli la sentenza e fargli eleggere domicilio ai sensi dell’art 161 c.p.p.. In tal modo, infatti, si otteneva già in passato la possibilità di proseguire il processo senza interruzioni determinate dal dubbio circa la sua conoscenza da parte dell’imputato, visto che gravava sull’imputato medesimo comunicare eventuali variazione del domicilio eletto e, comunque, in caso di inidoneità di quest’ultimo, le notifiche si ritenevano ritualmente eseguite presso il difensore di fiducia o d’ufficio.

Pur vero che la soluzione prescelta dal legislatore consente – in astratto – un risparmio, ancorché minimo, nelle notifiche di atti all’imputato (che è immediatamente edotto della data in cui si celebrerà il processo a suo carico), ciò comporta una significativo aggravio nell’organizzazione degli uffici giudiziari, che dovranno fissare annualmente delle udienze dibattimentali aggiuntive senza che vi sia certezza che nel corso di esse vengano trattati processi (permanendo comunque aleatoria la possibilità di rintracciare l’imputato non reperibile). Peraltro, una di tali udienze – quella che cade il primo giorno non festivo del mese di settembre – verrebbe celebrata nel periodo “cuscinetto”, in cui, a norma delle circolari vigenti, potrebbero essere fissate solo udienze in ipotesi di urgenza.

2. Le vicende successive – Il compimento di atti urgenti e la revoca della sentenza ex art. 420 quater c.p.p.    

            Tenuto conto che la sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo è potenzialmente destinata ad essere revocata in caso di rintraccio dell’imputato, l’art. 420 quinquies c.p.p. prevede che, finché le ricerche ad opera della polizia giudiziaria sono in corso, il giudice che l’ha pronunciata, su richiesta di parte, assume le prove non rinviabili nelle forme di cui all’articolo 401 c.p.p., dando avviso alle parti del giorno, dell’ora e del luogo stabiliti per il compimento di tali atti.

È altresì prevista una competenza del medesimo giudice a provvedere sulle misure cautelari pendenti, su cui ci si soffermerà nel prosieguo.

            Come innanzi specificato la sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo contiene la disposizione impartita alla polizia giudiziaria di continuare le ricerche dell’imputato, finalizzate alla notifica della sentenza medesima, contenente – come si è visto – la citazione a comparire per la riapertura del processo.

            L’art. 420 sexies c.p.p. prevede che, una volta rintracciato l’imputato, la polizia giudiziaria gli notifichi la sentenza, dandogli avviso della riapertura del processo nonché della data di udienza evincibile dal provvedimento medesimo.

            È altresì previsto che vengano compiuti gli adempimenti di cui all’art. 161 c.p.p. (elezione di domicilio) e che si proceda alla nomina di un difensore di ufficio ove l’imputato ne sia privo e non provveda alla nomina di un difensore di fiducia. Si dispone, inoltre, che all’imputato sia comunicato che il difensore così individuato sarà avvisato della data dell’udienza fissata per la riapertura del processo.

Ovviamente, di tutta tale attività sarà redatto verbale che dovrà essere trasmesso dalla polizia giudiziari senza ritardo al giudice che ha emesso la sentenza ex art 420 quater c.p.p…

Il giudice, ricevuta comunicazione del rintraccio dell’imputato e degli adempimenti suindicati, revocherà la sentenza di non doversi procedere, dando avviso al pubblico ministero, al difensore dell’imputato e alle altre parti della data dell’udienza fissata ai sensi dell’articolo 420 quater, comma 4, lettera b), c.p.p…

Viene mantenuto il medesimo termine dilatorio di venti giorni fra la data di notifica dell’avviso alle parti e quella in cui verrà riaperto il processo.

All’udienza fissata il giudice procederà alla verifica della regolare costituzione delle parti e agli adempimenti successivi.

Giova fin d’ora rilevare che la sentenza di non doversi procedere in esame può essere emessa tanto dal G.U.P., che dal giudice del dibattimento nei casi di citazione diretta a giudizio.

Peraltro, le disposizioni transitorie (art. 89, comma 3, del decreto legislativo n. 150 del 10 ottobre 2022) prevedono che, quando, prima dell’entrata in vigore della riforma, nell’udienza preliminare o nel giudizio di primo grado è stata disposta la sospensione del processo ai sensi del previgente articolo 420 quater, comma 2, c.p.p. e l’imputato non sia stato ancora rintracciato, in luogo di disporre nuove ricerche ai sensi del previgente articolo 420 quinquies c.p.p., il giudice emetta sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo, prevedendo l’applicazione dei successivi articoli 420 quinquies e 420 sexies c.p.p., come modificati dal decreto legislativo medesimo.

3. Le misure cautelari personali – problematiche applicative della riforma

            Aspetto problematico inerente l’istituto in esame è quello afferente le misure cautelari personali. Considerata l’attitudine della sentenza ex art 420 quater c.p.p. ad essere revocata in ipotesi di rintraccio dell’imputato, si è posto il problema di disciplinare gli effetti di tale pronunciamento sui provvedimenti impositivi di misure cautelari, reali e personali, nonché su quei provvedimenti che sono adottati proprio in considerazione di una loro strumentalità all’accertamento in corso (come i sequestri probatori).

Tali provvedimenti, infatti, a seguito dell’emissione di una sentenza che conclude il procedimento diversa dalla condanna dovrebbero perdere di efficacia, rispettivamente ai sensi degli artt. 300 e 323 c.p.p..

Limitando l’attenzione al tema delle misure cautelari personali, è stata la stessa legge delega a richiedere che fossero previste delle deroghe alla disciplina vigente, che consentissero la sopravvivenza di quelle più afflittive, pur a fronte di un’emissione di una sentenza di non luogo a procedere.

In ragione di ciò, il novellato art. 420 quater, comma 7, c.p.p. prevede che “in deroga a quanto disposto dall’articolo 300, le misure cautelari degli arresti domiciliari e della custodia in carcere perdono efficacia solo quando la sentenza non è più revocabile ai sensi del comma 6”, ovvero quando è decorso il termine di prescrizione di cui all’ultimo comma dell’art. 159 c.p..

Per le misure cautelari personali non custodiali, in assenza di espresso richiamo operato dalla predetta norma, deve ritenersi che operi la causa di cessazione dell’efficacia di cui all’art. 300 c.p.p..

Inoltre, all’evidente scopo di velocizzare tali procedimenti (per i quali dall’esecuzione inizia a decorrere il termine di fase di durata massima della misura cautelare, di cui all’art. 303 c.p.p.), il legislatore ha previsto che la citazione a giudizio dell’imputato avvenga direttamente ad opera del giudice che ha emesso la sentenza di non doversi procedere, senza che ci si affidi a quel sistema di automatica determinazione dell’udienza dibattimentale innanzi illustrato, che prevede quali udienze fisse per la ripresa del processo quelle che dovranno essere fissate per i primi giorni non festivi dei mesi di settembre e febbraio.

La riforma individua, poi, nel giudice che ha emesso la sentenza quello competente a provvedere sulle misure cautelari personali e reali. Il novellato art. 420 quinquies c.p.p. prevede infatti che Per lo stesso periodo di tempo indicato nel comma 1, il giudice che ha pronunciato la sentenza di non doversi procedere ai sensi dell’articolo 420 quater resta competente a provvedere sulle misure cautelari e sui provvedimenti di sequestro fino alla perdita di efficacia prevista dal comma 7 dell’articolo 420 quater”.

Così ricostruita la normativa, sorgono alcune rilevanti problematiche applicative, soprattutto in materia di espletamento dell’interrogatorio di garanzia di cui all’art. 294 c.p.p., nel caso in cui l’imputato non vi sia stato sottoposto in epoca anteriore all’emissione della sentenza di non doversi procedere (caso che dovrebbe essere quello ordinario, considerato che, in ipotesi di esecuzione della misura cautelare, l’imputato è certamente edotto del processo e viene invitato ad eleggere domicilio).

Un primo problema afferisce alla necessità o meno di effettuare l’interrogatorio di garanzia dopo l’emissione della sentenza ex art. 420 quater c.p.p..

Sotto il vigore della previgente disciplina, la tematica dell’espletamento dell’interrogatorio di garanzia di un soggetto il cui processo fosse transitato dalla fase delle indagini preliminari a quella processuale, a seguito di contrasti giurisprudenziali e di una duplice declaratoria di illegittimità costituzionale (cfr. Cost. n. 77 del 1997 e n. 32 del 1999), aveva trovato una composizione trasfusa dalla novella del 1999 (D.L. 22 febbraio 1999, n. 29, convertito con modifiche in l. 21 aprile 1999, n. 109) nella previsione dell’art. 294 c.p.p., secondo cui occorreva procedere all’interrogatorio di garanzia “fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento”, che indica il momento nel quale, nella pienezza del contraddittorio, l’imputato è in grado di svolgere appieno le sue difese (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 18190 del 22/01/2009 Cc., dep. 04/05/2009 – Rv. 243028 – 01, in cui in motivazione viene affermato che il legislatore ha ritenuto che le esigenze difensive indicate potessero essere pienamente soddisfatte con la celebrazione del dibattimento, fase processuale che consente all’imputato, nella pienezza del contraddittorio che caratterizza l’assunzione delle prove a carico ed a discarico, di prospettare al giudice tutte le ragioni difensive, anche attraverso l’esame o le dichiarazioni spontanee di cui all’articolo 494 c.p.p.).

Non resta, dunque, che chiedersi se tale opzione ermeneutica sia tutt’ora valida nell’ipotesi di emissione della sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo, che ha sì l’attitudine a definire il processo, ma che viene resa in assenza di contatto alcuno fra il giudice del dibattimento e l’imputato e certamente prima di una formale declaratoria di apertura del dibattimento.

Invero, facendo proprie le argomentazione della Corte Costituzionale e delle sezioni unite della Corte di cassazione, dovrebbe serenamente pervenirsi alla conclusione che, ove l’imputato, rintracciato a seguito di emissione di sentenza ex art. 420 quater c.p.p., sia sottoposto ad una delle misure custodiali richiamate dal comma 7 della medesima disposizione (custodia in carcere o arresti domiciliari), debba essere sottoposto ad interrogatorio di garanzia ex art 294 c.p.p., nei termini ivi previsti.

La sentenza ex art 420 quater c.p.p. infatti, viene resa in una fase anteriore alla dichiarazione di apertura del dibattimento e dunque prima del momento nel quale l’imputato, nella pienezza del contraddittorio, può prospettare al giudice le sue difese.

Può porsi, invece, qualche dubbio interpretativo in relazione al soggetto che sia tenuto ad espletare l’interrogatorio e, segnatamente, se esso vada individuato nel giudice che ha emesso l’ordinanza di applicazione della misura cautelare (in genere il G.I.P.) o nel giudice che ha emesso la sentenza ex art 420 quater c.p.p.. E ciò alla luce del disposto di cui al secondo comma dell’art. 420 quinquies c.p.p., che prevede espressamente che, finché le ricerche dell’imputato siano in corso, “il giudice che ha pronunciato la sentenza di non doversi procedere ai sensi dell’art. 420 quater c.p.p. resta competente a provvedere sulle misure cautelari.

In particolare, occorrerà comprendere se con tale disposizione, apparentemente omnicomprensiva, il legislatore abbia inteso individuare nel giudice che ha emesso la sentenza di non doversi procedere l’unico giudice competente a provvedere sull’intera fase cautelare, incluso l’interrogatorio di garanzia, o se abbia inteso riferirsi ai soli provvedimenti di modifica e revoca delle misure cautelari in atto, in modo da lasciare inalterata la competenza del giudice che ha emesso la misura cautelare ad effettuare l’interrogatorio di garanzia.

Potrebbe ritenersi, a ragione, che la soluzione ermeneutica più appropriata sia quella di lasciare inalterato il sistema previgente, in modo da mantenere in capo al giudice che ha emesso l’ordinanza di applicazione della misura cautelare l’onere di espletare l’interrogatorio di garanzia nella fase immediatamente successiva al reperimento dell’imputato e all’applicazione nei suoi riguardi della misura custodiale.

Ciò anche in ragione del fatto che il giudice che ha emesso la sentenza ex art 420 quater c.p.p. ha inevitabilmente una conoscenza limitata degli atti di indagine posti a fondamento della misura cautelare, anche non sempre tale elemento è stato ritenuto decisivo (si veda al riguardo la disciplina di cui all’art. 294, comma 5, c.p.p., che consentiva, praticamente senza limiti, la delega dell’interrogatorio di garanzia ad altro giudice, ove indagato si fosse trovato astretto in un Istituto penitenziario posto in altra circoscrizione rispetto a quella cui appartiene il giudice che ha emesso l’ordinanza di applicazione della misura cautelare).

È inutile dire quanto, in un ambito così delicato, gravido di conseguenze tanto per l’imputato sottoposto a misura custodiale, che per il giudice (in relazione alle ben note conseguenze disciplinari in ipotesi di scarcerazione dell’imputato per cessazione dell’efficacia della misura cautelare di tipo custodiale), sarebbe stato opportuno che un tale dubbio ermeneutico fosse dipanato a monte direttamente dal legislatore.

Sarà, invece, più probabilmente la prassi applicativa ed i pronunciamenti dei giudici di merito e di legittimità a dipanare la problematica e ad individuare il giudice competente.

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