Sentenza estinzione per tardiva riassunzione processo interrotto (App. Napoli 10.5.2018)

Nel caso esaminato dalla sentenza, il processo, pendente in secondo grado dinanzi alla Corte d’Appello, si era interrotto a sèguito della rituale dichiarazione della sopravvenuta morte di una delle parti.

Il ricorso in riassunzione, tempestivamente depositato nella cancelleria del giudice adìto, non era stato notificato entro il termine ordinatorio all’uopo fissato con il decreto di cui all’art. 303, 1° comma, c.p.c..

Fissato dal collegio, in applicazione analogica dell’art. 291, 1° comma, c.p.c., un nuovo termine (questa volta perentorio) per l’adempimento dell’incombente, il riassumente aveva, quindi, provveduto a instaurare il contraddittorio nei confronti dei soggetti indicati come eredi della controparte deceduta.

Costoro, costituendosi in giudizio, eccepivano l’estinzione del processo, ex artt. 305 e 307, 3° comma, c.p.c., dando prova di aver rinunciato all’eredità delde cuiuscon dichiarazione inserita nel registro delle successioni oltre un anno prima della notificazione del ricorso in riassunzione.

In accoglimento della sollevata eccezione, la Corte ha dichiarato estinto il processo, escludendo, peraltro, la possibilità di rimettere in termini il riassumente, onde consentirgli di evocare in giudizio gli effettivi eredi della controparte deceduta, giacchè il venir meno del titolo successorio in capo ai soggetti destinatari dell’atto di riassunzione era da ritenersi conoscibile con l’uso dell’ordinaria diligenza.

SENTENZA

R E P U B B L I C A   I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI NAPOLI

SEZIONE CIVILE 7^ (già 3^BIS)

riunita in camera di consiglio nella composizione di cui appresso:

dott.    Stefano CHIAPPETTA Presidente

dott.ssa Erminia BALDINI    Consigliere

dott.    Danilo  CHIECA     Consigliere relatore

ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile in grado di appello iscritta nel ruolo generale degli affari contenziosi sotto il numero d’ordine … dell’anno …, vertente

TRA

E.M., rappresentata e difesa dagli avv.ti P. e S. P., giusta procura a margine dell’atto di appello;

appellante/riassumente

E

S.L., rappresentata e difesa dagli avv.ti U.T., S.S. e M.S., giusta procura in calce alla comparsa di costituzione depositata il 28 settembre 2017 a sèguito di riassunzione del processo;

appellata, evocata in riassunzioneanche nell’allegata qualità di erede del defunto F.R., altro appellato

NONCHÉ

M.R., D.R. e G.R., rappresentati e difesi dagli avv.ti U.T. e S.S., giusta procura in calce alla comparsa di costituzione depositata il 28 settembre 2017 a sèguito di riassunzione del processo;

litisconsorti processuali evocati in riassunzione nell’allegata qualità di eredi del defunto appellato F.R.

OGGETTO: risarcimento danni; transazione; violazione distanze legali

CONCLUSIONI:

per la M.

-l’avv. C.S., per delega degli avv.ti P. e S. P.

(dal verb. ud. dell’11 gennaio 2018): «…conclude… perché  la Corte di Appello voglia così provvedere: A)disporre, in via preliminare, per l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei discendenti, chiamati all’eredità, di F.R., succeduti per rappresentazione, concedendosi termine per tale adempimento; B)in ogni caso, respingere le eccezioni di estinzione del processo come avanzate dall’appellata S.L., anche come chiamata all’eredità di F.R., e dai discendenti del medesimo, tutti rinunzianti, non essendosi determinato allo stato alcun evento estintivo… C)nel merito…: a)respingere le domande come avanzate, in un unico atto ma separatamente, da F.R. e S.L.…; b)respingere le domande di risarcimento danni dei medesimi comproprietari, attesa la piena efficacia della clausola di esonero di responsabilità come pattuita tra le parti stesse… all’art. 3 della convenzione transattiva del 24 giugno 1982, opponibile agli aventi causa degli stipulanti…; c)in via gradata, per l’ipotesi in cui potesse sancirsi, ai sensi dell’art. 1229, secondo comma, c.c., la nullità della clausola di cui al richiamato art. 3 della convenzione transattiva per Notar S. del 24 giugno 1982, dichiararsi estesa, ai sensi dell’art. 1419 c.c., la nullità all’intera convenzione transattiva…; d)per effetto di tale pronuncia di nullità, condannare ciascuno degli attori, quali comproprietari dell’immobile costruito in violazione delle distanze, all’arretramento dell’edificio fino al rispetto della distanza regolamentare prescritta dalle norme del codice civile, da quelle edilizie per la Città di Napoli, ovvero da quelle pattiziamente sancite con la convenzione di cui all’atto per Notar M. in data 10 maggio 1965; e)ancora, in via sempre gradata e per l’ipotesi di reiezione delle eccezioni e domande riconvenzionali come avanzate dalla convenuta in primo grado…, e quindi di affermazione di una responsabilità della convenuta stessa per i danni denunciati dall’attore, escludere, in applicazione del disposto di cui all’art. 1227, secondo comma, c.c., il diritto a conseguire il risarcimento dei danni, e comunque accertare e dichiarare, ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., il concorso di colpa dei danneggiati per avere i medesimi omesso di realizzare opere ovvero impianti atti a regolare il flusso delle acque provenienti dai fondi a quota superiore e per avere, comunque, mantenuto un comportamento inerte… f)condannare gli appellati al pagamento delle spese, diritti ed onorario del doppio grado del giudizio; g)ammettere, in via istruttoria, i mezzi di prova richiesti nella memoria 183, 6° comma, c.p.c., e quindi disporre la nomina di altro CTU…»;

per la L. e i R.

– l’avv. S.S., anche per delega dell’avv. U.T. (dal verb. ud. dell’11 gennaio 2018):

«…conclude perché l’adita Corte, respinta ogni avversa istanza, voglia accertare e dichiarare la carenza di legittimazione passiva dei signori M., G. e D. R. e, comunque, perché voglia dichiarare estinto il presente giudizio per la mancata notifica dell’atto di riassunzione a tutti i litisconsorti necessari. Con il favore delle spese di lite anche per il presente grado di giudizio; nel merito, rigettare l’ex adverso proposto appello, con integrale conferma della sentenza di primo grado. Con il favore delle spese di lite anche per il presente grado di giudizio».

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con sentenza n. … del 22-23 novembre 2010, all’esito dell’espletata istruttoria, l’adìto Tribunale di Napoli così statuiva sulla domanda principale proposta dai coniugi F.R. e S.L. contro la convenuta E.M., volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti dal villino di loro proprietà, sito in Napoli alla via…, a sèguito di infiltrazioni d’acqua provenienti dal giardino annesso al confinante appartamento di proprietà della predetta convenuta, facente parte dell’edificio condominiale ubicato al civico… della medesima via, e sulle riconvenzionali spiegate in via subordinata dalla M., miranti a conseguire l’accertamento della nullità della convenzione transattiva del 24 giugno 1982 stipulata dalla E. s.r.l., sua dante causa, con i sunnominati coniugi e la condanna di questi ultimi «all’arretramento della loro proprietà fino al rispetto delle distanze imposte dalla legge, ovvero dalle limitazioni prescritte nell’atto per Notar M. in data 10 maggio 1965, in una alla condanna al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio»:

«a)accoglie la domanda nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto condanna parte convenuta al pagamento della somma di euro 43.204,51, oltre interessi al tasso medio del 2,3% sulla predetta somma devalutata al momento del fatto e di anno in anno rivalutata sino alla data della presente decisione e oltre interessi legali dalla presente decisione al soddisfo;

-b)condanna parte convenuta al pagamento in favore degli attori delle spese di giudizio, che liquida in euro 668,00 per spese, euro 1.626,00 per diritti ed euro 5.800,00 per onorario, oltre Iva, CPA e rimborso spese generali, come per legge, su diritti ed onorario; c)pone le spese di CTU a carico di parte convenuta».

Avverso tale sentenza la parte soccombente ha proposto appello davanti a questa Corte, con atto di citazione notificato in data 5 gennaio 2012, lamentando l’erroneità della decisione gravata e chiedendone la riforma totale o quantomeno parziale, con conseguente accoglimento delle conclusioni riportate in epigrafe.

Radicatosi nuovamente il contraddittorio, si sono costituiti in giudizio i coniugi R.-L., i  quali  hanno contestato la fondatezza dell’avverso gravame, chiedendone il rigetto.

All’udienza del 28 gennaio 2016 i procuratori del R., sostituiti nell’occasione da un delegato, hanno dichiarato la sopravvenuta morte del loro assistito.

Preso atto di ciò, la Corte ha dichiarato l’interruzione del processo.

In data 4 luglio 2016 l’appellante ha depositato il ricorso in riassunzione, che non è stato, però, notificato agli eredi del defunto entro il termine all’uopo fissato con decreto presidenziale del 28 luglio 2016.

Ottenuta, quindi, la concessione di un nuovo termine per l’adempimento dell’incombente, la M. ha successivamente provveduto ad instaurare il contraddittorio nei confronti della L., nonché di M., D. e G. R., evocati in causa nell’allegata qualità di eredi di F.R..

Costoro si sono costituiti in giudizio, documentando di aver tutti quanti rinunciato all’eredità relitta dal de cuius ed eccependo prima di ogni altra loro difesa l’intervenuta estinzione del processo, perché non tempestivamente riassunto nei confronti dei soggetti passivamente legittimati a proseguirlo.

Essendo sorta controversia sul punto, all’udienza dell’11 gennaio 2018 la Corte ha invitato le parti a precisare le conclusioni e quindi ha trattenuto la causa in decisione, assegnando alle parti i termini per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

*****

L’eccezione di estinzione del processo sollevata da S.L. e da M., D. e G. R. a sèguito della riassunzione effettuata nei loro confronti dall’appellante E.M. è fondata e va, pertanto, accolta.

Ai sensi dell’art. 305 c.p.c., nel testo, applicabile ratione temporis, vigente anteriormente alle modifiche introdotte dalla L. n. 69/2009, il processo si estingue se non viene proseguito o riassunto entro il termine perentorio di sei mesi dall’interruzione.

È stato, al riguardo, precisato dalla giurisprudenza  della Suprema Corte -con sentenza n. 14854/06 pronunciata a sezioni unite, seguita da numerose pronunce conformi rese a sezioni semplici (cfr., ex ceteris, Cass. n. 5348/07, Cass. n. 6325/10 e Cass. n. 1900/11)- che il termine perentorio previsto dall’art. 305 c.p.c. sopra citato é riferibile soltanto al deposito del ricorso in cancelleria, sicché, una volta eseguito tempestivamente detto adempimento, quel termine non svolge più alcun ruolo nella successiva notifica dell’atto e del pedissequo decreto giudiziale di fissazione dell’udienza per la prosecuzione del processo, volta a garantire il corretto ripristino del contraddittorio.

Ne consegue che il vizio e persino la radicale mancanza della notifica impongono al giudice di ordinarne la rinnovazione, in applicazione analogica dell’art. 291, 1° comma, c.p.c., entro un termine perentorio da assegnare a tal fine, il cui mancato rispetto determina l’estinzione del giudizio in base al combinato disposto degli artt. 291, ultimo comma, e 307, 3° comma, dello stesso codice.

Tanto premesso in punto di diritto, dall’esame del fascicolo d’ufficio emerge che il presente processo si è interrotto il 28 gennaio 2016, ai sensi dell’art. 300, 1° e 2° comma, c.p.c., a sèguito della dichiarazione della sopravvenuta morte dell’appellato F.R. resa in udienza da uno dei suoi procuratori, sostituito nell’occasione da un delegato.

In data 4 luglio 2016, e quindi anteriormente alla scadenza del termine perentorio semestrale stabilito dalla legge, l’appellante ha provveduto a depositare in cancelleria il ricorso per la riassunzione del processo, instando per la fissazione dell’udienza di prosecuzione.

Il presidente di questa sezione, con decreto del 28 luglio 2016, ha disposto in conformità, fissando per la prosecuzione del giudizio l’udienza del 12 gennaio 2017.

Non essendosi alcuna delle parti presentata a tale udienza, la causa è stata rinviata ex artt. 181, 1° comma, e 309 c.p.c. all’udienza del 9 marzo 2017.

In quest’ultima udienza è comparso uno dei difensori dell’appellante, sostituito, nella circostanza, da un delegato, il quale, dando atto che «il ricorso in riassunzione ed il decreto di prosecuzione del processo non sono stati notificati né alla Sig.ra S.L., né ai chiamati all’eredità del Sig. F.R.», ha chiesto la concessione di un nuovo termine per l’adempimento dell’incombente.

Con ordinanza pronunciata nella stessa udienza, la Corte ha assegnato alla riassumente termine perentorio sino al 6 maggio 2017 per la notificazione di cui innanzi, rinviando la causa all’udienza del 12 ottobre 2017.

Detta notificazione è stata poi eseguita tra il 4 aprile  e

l’11 maggio 2017[1] nei confronti della L. -che aveva già assunto la veste di parte prima della verificazione dell’evento interruttivo- e dei suoi figli M., D. e G. R., tutti e quattro evocati nell’asserita qualità di eredi (o quantomeno di chiamati all’eredità) del defunto F.R..

Nel costituirsi in giudizio, costoro hanno prontamente eccepito, prima di ogni altra loro difesa, l’intervenuta estinzione del processo per mancata tempestiva riassunzione dello stesso nei confronti dei soggetti passivamente legittimati, deducendo di aver tutti e quattro rinunciato all’eredità relitta dal de cuius mediante dichiarazione ricevuta dal notar G.I. di Massa Lubrense in data 21 aprile 2015, iscritta il 3 giugno 2015 nel registro delle successioni tenuto presso la cancelleria del Tribunale di Napoli, luogo dell’aperta successione.

Così riassunta la vicenda processuale, va anzitutto notato che le circostanze relative all’avvenuta rinuncia all’eredità da parte dei sunnominati L.-R. e alla successiva inserzione delle singole dichiarazioni di rinuncia nel registro delle successioni risultano comprovate dalla documentazione contenuta all’interno dei fascicoli di parte da loro depositati all’atto della costituzione in giudizio.   

Ciò posto, giova rammentare che, alla luce di un’interpretazione dell’art. 303 c.p.c. conforme ai princìpi di sollecita definizione del processo e di tutela del diritto di difesa di cui all’art. 111 Cost., per la riassunzione del giudizio dopo la morte della parte occorre diligentemente accertare che i soggetti convenuti in riassunzione come eredi siano formalmente investiti del titolo a succedere e che questo permanga al momento della riassunzione, essendo necessario e sufficiente il riscontro della titolarità anzidetta in forza di quanto risulti legalmente allo stato degli atti, qualora non sia conosciuta -o conoscibile con l’ordinaria diligenza attraverso la consultazione del registro delle successioni o dei registri immobiliari- alcuna circostanza idonea a dimostrare che il titolo a succedere sia venuto a mancare per rinuncia, indegnità, premorienza o altra causa (cfr., in terminis, Cass. n. 21287/11;id., Cass. n. 8051/17).

Nel caso in esame, come si è appena visto, le dichiarazioni di rinuncia all’eredità di F.R. rese dalla L. e dai suoi figli M., D. e G. R. risultano inserite nel registro delle successioni sin dal 3 giugno 2015, sicchè alla data di deposito del ricorso in riassunzione (4 luglio 2016), e a maggior ragione a quella della successiva consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notificazione (29 marzo 2017), la riassumente era certamente in grado di conoscere una siffatta circostanza e conseguentemente di instaurare il contraddittorio nei confronti dei soggetti che, allo stato degli atti, apparivano formalmente investiti del titolo a succedere (ossia i discendenti dei rinuncianti, subentrati per rappresentazione ex artt. 467 ss. c.c. e facilmente individuabili mediante l’acquisizione dello stato di famiglia storico).

Non essendosi, quindi, provvedutoalla riassunzione entro il termine perentorio all’uopo stabilito dalla Corte in applicazione analogica dell’art. 291, 1° comma, c.p.c., va dichiarata l’estinzione del processo per inattività delle parti, ai sensi degli artt. 305 e 307, 3° comma, c.p.c..

Né sussistono le condizioni per un’eventuale rimessione in termini ex art. 184-bis c.p.c. (norma abrogata dall’art. 46, 3° comma, L. n. 69/2009, ma applicabile ratione temporis alla presente fattispecie[2]), non avendo la parte riassumente dimostrato di non essere riuscita a individuare i successori universali delde cuius per causa ad essa non imputabile ed emergendo, anzi, la prova del contrario dalla documentazione acquisita agli atti.

Per completezza, va osservato che si rivelano inconferenti le deduzioni difensive svolte dalla M. nei suoi scritti conclusivi, nel tentativo di evitare la declaratoria di estinzione del processo.

Invero:

– non appare pertinente l’operato richiamo al principio di diritto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 22870/15 («Nell’ipotesi di interruzione del processo per morte di una delle parti in corso di giudizio, la relativa “legitimatio ad causam” si trasmette all’erede, ma il ricorso per riassunzione notificato individualmente nei confronti dei chiamati all’eredità ex art. 486 c.c. è idoneo ad instaurare un valido rapporto processuale tra notificante e destinatario della notifica, se questi riveste la qualità di successore universale della parte deceduta ex art. 110 c.p.c.; ne consegue che i chiamati all’eredità, pur non assumendo la qualità di eredi per il solo fatto di aver accettato la predetta notifica, hanno l’onere di contestare, costituendosi in giudizio, l’effettiva assunzione di tale qualità, così da escludere la condizione di fatto che ha giustificato la riassunzione»): nel caso di specie, infatti, i chiamati all’eredità di F.R. si sono ritualmente costituiti in giudizio, eccependo di aver rinunciato alla detta eredità oltre un anno prima della notificazione del ricorso in   riassunzione e dando prova delle loro asserzioni;

– deve escludersi che il rapporto processuale tra la M. e il defunto R. sia scindibile da quello tra la stessa M. e la L. -il che comporterebbe, ad avviso della riassumente, la possibilità di dichiarare estinto solo in parte il presente giudizio-, essendo stata riproposta in questa sede la domanda  volta ad ottenere la condanna dei coniugi R.-L. all’arretramento dell’immobile di loro proprietà sito in Napoli alla via…, presupponente la partecipazione in veste di litisconsorti necessari sia del primo (e ora dei suoi eredi) che della seconda[3];

– la circostanza che F.R., quando era in vita, abbia ceduto alla figlia D. la quota di sua proprietà del suindicato immobile non può indurre a ritenere che la riassunzione sia stata validamente effettuata nei confronti della predetta figlia quale successore a titolo particolare nel diritto controverso: a prescindere dal rilievo che il R. e la L. hanno fatto valere nei confronti della M. un diritto personale al risarcimento dei danni subiti dal loro immobile, non trasmissibile automaticamente con l’alienazione del bene[4], va comunque rilevato: a)che la cessione di cui trattasi è avvenuta con atto di compravendita rogato dal notar C.I. di Napoli il 17 gennaio 2005 e trascritto nei registri immobiliari il 9 febbraio 2005, vale a dire ben prima dell’introduzione del presente giudizio, iniziato nell’anno 2007; b)che non possono, pertanto, trovare applicazione, nel caso in esame, le disposizioni contenute nell’art. 111 c.p.c., riguardanti l’ipotesi di trasferimento del diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare verificatosi «nel corso del processo»; c)che, oltretutto, in una siffatta evenienza il processo deve comunque proseguire tra le parti originarie (secondo quanto previsto dal 1° comma del menzionato articolo), sicchè, ove una di queste venga meno per morte o per altra causa, la prosecuzione o riassunzione deve essere compiuta dal successore universale o in suo confronto, giusta il disposto dell’art. 110 dello stesso codice;

– l’ipotizzata accettazione dell’eredità da parte della L. secondo il meccanismo delineato dall’art. 485, 1° e 2° comma, c.c. -la quale renderebbe priva di effetti la successiva dichiarazione di rinuncia da lei resa al notar I. (cfr., sull’argomento, Cass. n. 6275/17)- non influisce in alcun modo sulle sorti del processo, giacchè questo doveva essere necessariamente riassunto, entro il termine perentorio all’uopo fissato con ordinanza del 9 marzo 2017, nei confronti di tutti gli eredi del defunto F.R., e non di uno solo di loro.

Essendo sorta controversia tra le parti in ordine alla verificazione di una causa estintiva del processo, le spese del presente grado di giudizio devono essere regolate in base ai princìpi posti dagli artt. 91 e 92 c.p.c., sia pure limitatamente alle spese causate dalla trattazione della questione relativa all’estinzione (cfr.,ex multis, Cass. n. 533/16, Cass. n. 13736/05 e Cass. n. 10173/93).

In conformità alla suenunciata regula juris, tali spese vanno poste a carico della M. secondo il criterio generale della soccombenza.

Per la liquidazione si rimanda al dispositivo.

Rimangono a carico delle parti che le hanno anticipate, in virtù del principio sancito dall’art. 310, ultimo comma, c.p.c., le spese inerenti la fase processuale anteriore al verificarsi dell’estinzione, rispetto alla quale non è configurabile la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Napoli -Sezione Civile 7^ (già 3^bis), definitivamente pronunciando nel giudizio di appello iscritto al n. … R.G., avente ad oggetto l’impugnazione della sentenza n. … resa dal Tribunale di Napoli il 22 novembre 2010, pubblicata il giorno successivo, promosso da E.M. contro i coniugi F.R. e S.L. e riassunto dalla stessa E.M., a sèguito della sopravvenuta morte di F.R., nei confronti di S.L. e di M., D. e G. R., nell’asserita qualità di eredi del defunto, uditi i procuratori delle parti, contrariis reiectis, così provvede:

1) dichiara l’estinzione del presente procedimento di appello per inattività delle parti;

2) condanna la M. a rifondere alla L. e ai germani M., D. e G. R. le spese causate dalla trattazione della questione relativa all’estinzione del processo, che liquida:

– in favore della prima in complessivi 3.305 euro per compenso professionale, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, CPA e IVA (se e in quanto dovuta e non detraibile), come per legge;

– in favore degli altri tre in complessivi 3.305 euro per compenso professionale, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, CPA e IVA (se e in quanto dovuta e non detraibile), come per legge;

3) dà atto che le restanti spese del presente grado di giudizio rimangono a carico delle parti che le hanno anticipate, giusta il disposto dell’art. 310, ultimo comma, c.p.c..

Così deciso in Napoli, addì 10 maggio 2018

Il Consigliere estensore

dott. Danilo CHIECA

Il Presidente

dott. Danilo CHIECA

[1] Nei confronti di D. e M. R. la notifica è stata eseguita ai sensi dell’art. 143 c.p.c., sicchè deve ritenersi perfezionata soltanto l’11 maggio 2017, vale a dire il ventesimo giorno successivo a quello in cui copia dell’atto da consegnare è stata depositata presso la casa comunale della loro ultima residenza nota (21 aprile 2017).

[2] In virtù della disposizione transitoria contenuta nell’art. 58, 1° comma, L. n. 69/2009, la norma abrogata continua ad applicarsi ai processi pendenti alla data del 4 luglio 2009, come appunto quello in esame.

Soltanto ai processi instaurati successivamente alla predetta data è applicabile l’art. 153 c.p.c., nel nuovo testo risultante a sèguito delle modifiche apportate dalla stessa legge.

[3] Cfr., sull’argomento, Cass. n. 3925/16:«L’azione, di natura reale, volta alla demolizione di un immobile in comunione va proposta nei confronti di tutti i comproprietari, quali litisconsorti necessari dal lato passivo, giacché, stante l’unitarietà del rapporto dedotto in giudizio, la sentenza pronunziata solo nei confronti di alcuni è “inutiliter data”»;id., Cass. n. 9902/10 e Cass. n. 12740/04.

Vedasi, inoltre, Cass. n. 15547/05, in cui viene chiarito che«la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dei litisconsorti pretermessi deve essere valutata non “secundum eventum litis” ma al momento in cui essa sorge» .

[4] Cfr. Cass. Sez. Un. n. 2951/16, in cui viene chiarito che «il diritto al risarcimento dei danni subiti da un bene spetta a chi ne sia proprietario al momento del verificarsi dell’evento dannoso, e, configurandosi come un diritto autonomo rispetto a quello di proprietà, non segue quest’ultimo nell’ipotesi di alienazione, salvo che non sia pattuito il contrario»; nello stesso senso, Cass. n. 24146/14 (ord.) e Cass. n. 15744/09.