Termine di legittimazione al trasferimento di sede tra esigenze di funzionamento dell’ufficio, diritto al tramutamento orizzontale ed aspettative di mobilità verticale tra teoria e metodo

di Giuseppe De Francesca

Il recente aumento del cd. termine di legittimazione al tramutamento induce ad una riflessione circa le ricadute di tale opzione sulla organizzazione pratica della giustizia, sulle aspettative di mobilità orizzontale e verticale dei magistrati nonché sui rimedi possibili, anche incentivanti, in vista della tendenziale stabilità degli uffici, prospettando sullo sfondo l’esigenza di collocare le scelte relative alla organizzazione pratica della giustizia entro un quadro unitario di riferimento di teoria generale di un diritto ordinamentale che possa dirsi “giudiziario”.

1. Il termine di legittimazione ed il quadro di riferimento sistematico.

L’art. 3 del decreto legge n. 168 approvato dal Consiglio dei Ministri il 30.8.2016 e poi convertito nella legge 25 ottobre 2016, n. 197, nel modificare l’art. 194, comma 1, del R.D. n. 12/41 ha aumentato da tre a quattro anni il “termine di legittimazione“, ovvero il tempo oltre il quale il magistrato può richiedere il trasferimento ad altra sede o l’assegnazione ad altre funzioni[2], lasciando tuttavia esclusi da tale aumento i soli magistrati per i quali la prima nomina sia giunta nell’anno 2017 i quali, pertanto, possono continuare a contare sul termine triennale[3].

Se non si tratta di una modifica rivoluzionaria, posto che l’ordinamento aveva già fatto i conti con le oscillazioni di un termine in origine biennale poi divenuto quadriennale nel 1991 ed infine triennale dal 1998, si tratta tuttavia di una modifica di sicura rilevanza, tra le più significative fra quelle apportate con l’anzidetto decreto dal legislatore; un legislatore, occorre però rilevare, che ansioso di voler migliorare la efficienza degli uffici giudiziari ha inteso intervenire su una così delicata materia, quella cioè della mobilità, senza prima maturare una visione autenticamente sistematica dell’ordinamento giudiziario, dimenticando, forse per la fretta, un garbo istituzionale che avrebbe dovuto suggerire una dialogo più stretto con un potere della cui fisionomia costituzionale egli non pare abbia avuto reale percezione.

È vero anche, d’altra parte, che una visione autenticamente sistematica dell’ordinamento giudiziario, inteso come insieme di norme che disciplinano l’organizzazione degli apparati e delle persone preposti al funzionamento della giustizia, non è né scontata né agevole, poiché tale insieme di norme costituisce il frutto di una produzione normativa che promana da fonti diverse, spesso animata da un logica interventista e parziale, e che al plesso normativo di riferimento, il quale continua ad essere il Regio Decreto n. 12/41, sovrappone sprazzi di legislazione ordinaria, d’urgenza o delegata regolatrice di aspetti circoscritti.

Per pretendere un approccio sistematico al tema, quindi, non deve sembrare eccessiva l’aspirazione ad uno statuto epistemologico dell’ordinamento giudiziario, ovvero alla individuazione di una base scientifica sufficiente a porre le condizioni per farne un diritto, un diritto che possa dirsi “giudiziario” per il fatto stesso di avere ad oggetto quella parte del diritto costituzionale relativa, appunto, alla funzione giurisdizionale[4].

Forse può apparire ambizioso, ma lo sforzo verso una teoria generale che si occupi della funzione giurisdizionale cui è dedicato il titolo IV della Costituzione (artt. 101-113) e, quindi, verso il riconoscimento di un diritto, costituisce un tentativo – anche culturale – necessario per mettere il legislatore in condizione di compiere le scelte – politiche – relative alla organizzazione pratica della giustizia entro un quadro unitario di riferimento di teoria generale con il quale confrontarsi.

Se questo deve essere l’approccio, quindi, anche il tema della legittimazione ai tramutamenti deve dialogare con il sistema ordinamentale ed il sistema dei trasferimenti, nel contempo, essere valutato nel suo complesso, al di là cioè del solo specifico aspetto della mobilità e della misura del tempo di permanenza negli uffici.

Invero, accanto al tema della mobilità, che non procede sul solo piano orizzontale dovendo cogliersene anche la sua proiezione verticale, v’è poi da considerare il profilo funzionale legato alle incompatibilità, alle ultradecennalità ed alla temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi, che forse possono essere ordinati quali sottoinsiemi o microsistemi di mobilità.

Inoltre, la previsione di un più ampio termine di legittimazione deve fare i conti con un altro assai rilevante fattore, ovvero l’età media di accesso alla magistratura, il cui innalzamento non refluisce solo sul ritardato accesso agli uffici direttivi e semi-direttivi, che inevitabilmente si apriranno ad una platea di dirigenti sempre meno giovani, ma sulla stessa propensione alla mobilità , posto che chi entra tardi in magistratura porta già con sé esigenze personali e familiari che, ai fini della scelta della permanenza o non in un ufficio, contano.

Sta di fatto che per effetto dell’intervento normativo la mobilità dei magistrati subisce ora un nuovo rallentamento, e questo è un dato con cui occorre fare i conti.

2. Ricadute e riflessi dell’aumento del termine di legittimazione.

Passando, dunque, al profilo delle ricadute dell’ampliamento del termine di legittimazione, va detto che il primo riflesso che si coglie all’indomani di tale ampliamento sta nella considerazione, assai diffusa, di come l’aumento del periodo di permanenza obbligatoria nella sede da tre a quattro anni incida sulle legittime aspettative di mobilità dei singoli magistrati senza riuscire nel contempo a risolvere concretamente alcun problema strutturale.

Non v’è dubbio che rientri nella discrezionalità del legislatore l’introduzione di un più lungo periodo di legittimazione onde assicurare maggiore stabilità agli Uffici (ed è senz’altro a questa esigenza oggettiva che il legislatore ha il dovere di guardare, non certo alle aspirazioni ed alle scelte di vita del singolo magistrato).

Ma se laratioè quella di assicurare, attraverso un periodo di legittimazione più lungo, la stabilità del funzionamento degli uffici, occorre poi tenere conto delle ricadute che la previsione di un tale più dilatato termine, identico per tutti i magistrati, produce su un percorso professionale che, come è ovvio, non si sviluppa attraverso dinamiche altrettanto identiche.

2.1. Le ricadute dell’ampliamento del termine di legittimazione possono intanto essere valutate ponendosi dallo specifico angolo prospettico della mobilità verticale e dell’accesso agli incarichi direttivi e semidirettivi.

A tale riguardo si è osservato che in fondo un più lungo periodo di legittimazione è più ragionevole se equiparato al periodo previsto per la conferma nell’incarico, nel senso che ha senso prevedere che chi è stato scelto per dirigere un ufficio o una sezione possa presentare una nuova domanda di trasferimento, che quasi sempre altro non è che una domanda di conferimento di altro nuovo incarico, solo dopo essere stato sottoposto, appunto, a giudizio di conferma.

È vero, infatti, che il conferimento di un incarico direttivo o semidirettivo è funzionale alla attuazione di un programma che richiede una prospettiva temporale stabile che consenta il conseguimento degli obiettivi prefissati, sicchè, almeno da questo punto di vista, non è incongruo, rispetto agli obiettivi di efficientismo che il legislatore avrebbe inteso conseguire, la previsione della permanenza in quel posto per un tempo pari a quello quadriennale stabilito dagli artt. 45 e 46 del d.lgs. n. 160/2006 in vista della valutazione confermativa.

C’è però da segnalare le criticità che possono porsi per i magistrati che si trovino invece nel periodo conclusivo della propria carriera e che legittimamente aspirino ad un posto direttivo.

Il decreto legge n. 168/2016 ha infatti previsto anche la modifica all’art. 35 del d.lgs. 160 del 2006, che come sappiamo si occupa proprio dei limiti di età per il conferimento delle funzioni direttive, stabilendo che tali funzioni possano essere conferite solo ai magistrati che, alla data della vacanza del posto messo a concorso, assicurino almeno quattro anni di servizio prima della data di collocamento a riposo (invece dei tre precedentemente previsti ed ancora richiesti attualmente per le sole funzioni direttive giudicanti e requirenti di legittimità)[5], identicamente a quanto già previsto dall’art. 34-bis per le funzioni semidirettive.

Se così è, quindi, non può sottacersi che coloro che abbiano compiuto 65 o 66 anni di età e che alla data di entrata in vigore della novella stavano maturando il periodo di legittimazione dei tre anni nella sede ove attualmente si trovavano (e forse ancora si trovano) in servizio senza che la procedura di trasferimento ad altra sede o di assegnazione ad altre funzioni fosse quindi già iniziataalla data di entrata in vigore del presente decreto (unica causa normativamente prevista di inapplicabilità del nuovo termine quadriennale), vedono ormai seriamente pregiudicate le loro aspettative di ricoprire un incarico direttivo a seguito del contemporaneo innalzamento a quattro anni del periodo di legittimazione e del periodo di permanenza in servizio richiesto per poter essere nominati.

E’ questo uno dei passaggi che più eloquentemente di altri descrive l’assoluta carenza di valutazione sistematica dell’impatto della modifica, tanto più se si considera che nel contempo il Governo ha ritenuto di prorogare di un ulteriore anno il trattenimento in servizio (soltanto) di pochi magistrati della Corte di Cassazione.

2.2. Tralasciando l’orizzonte verticale, e sempre ragionando nella prospettiva della ratio della stabilità degli uffici sottesa all’ampliamento del termine, è certo che il regime dei trasferimenti condizioni il sistema in ciascuna delle sue basilari espressioni organizzative, dalle tabelle alla produttività, perché tanto l’una quanto le altre presuppongono la completezza dell’organico, che è la prima ed indefettibile condizione di ogni obiettivo di efficienza, produttività e programmazione.

Allora, venendo agli organici, è vero, intanto, che molti sono gli uffici che riescono a funzionare solo grazie alla presenza dei giudici di prima nomina, ma non si può realisticamente immaginare di attenuare il disagio delle sedi che presentano problemi strutturali di scopertura o mediante l’assegnazione di esse ai MOT o semplicemente ampliando il termine di legittimazione.

Se guardiamo invero alla mobilità che interessa tali sedi, ci si rende conto di come si tratti di sedi in cui vi si arriva o perché appunto ivi destinati quale sede di prima nomina al termine del tirocinio e quindi d’ufficio, o perché vi si transita in vista di ulteriore avvicinamento alla sede finale: viene da pensare che, aumentando il termine di permanenza a quattro anni, molti colleghi desiderosi di avvicinarsi altrove preferiranno ritardare la scelta di una sede nei fatti “disagiata” in vista di una migliore prossima sistemazione, e così lasciando ancora una volta vacante l’ufficio.

In altri termini, se dalla sede di origine (entro cui si aumenta il periodo di permanenza) si sposta lo sguardo sull’ufficio di destinazione, non può non condividersi l’osservazione secondo cui nel garantire per un ulteriore anno la copertura della sede dove si trova il magistrato che nutra la legittima aspettativa di trasferimento, si ritarda di un anno la copertura dell’ufficio di destinazione[6]: un po’ come la storia della coperta sempre corta, solo che a fare la parte della coperta, questa volta, è il magistrato.

Le sedi vacanti, allora, proprio perché inevitabilmente esposte alla continuativa scopertura, presentano problemi che non riescono a trovare soluzione solo per il fatto che quella sede sia fatta sfilare tra quelle di prima nomina – perché il trasferimento d’ufficio è un mezzo certo per tamponare la scopertura ma resta rimedio fisiologicamente temporaneo – o che in quella sede il magistrato sia indotto a permanere un anno in più.

3. Rimedi possibili.

Rimedi efficaci in vista della copertura di quelle sedi e quindi della tendenziale stabilità dell’ufficio potrebbero forse essere altri.

Intanto, bisognerebbe andare alla radice di tutti i problemi, che è la scopertura dell’organico.

Perché la scopertura, di fatto, non fa che aumentare il numero delle sedi vacanti, che restano tali indipendentemente dal fatto che un magistrato sia costretto a restare un anno in più nella sede di origine.

Prima di mettere mani alle scoperture attraverso un piano pluriennale di assunzioni, e quindi ad una serie di concorsi che consentano, in un tempo stabilito, la copertura integrale degli organici, occorrerebbe quindi rivedere le piante organiche, profilo necessariamente preliminare al fine di andare incontro alle esigenze di quei piccoli Tribunali in cui l’organico, se già inadeguato rispetto alle esigenze dei ruoli, finisce per soccombere a causa delle scoperture.

Inoltre, si può pensare alla previsione di meccanismi di incentivi al tramutamento ed alla permanenza  di magistrati già esperti nella sede, perché un magistrato più esperto, oltre ad essere figura necessaria dell’ufficio per la formazione “permanente” di un giovane magistrato che deve poter attingere dal bagaglio di esperienza di chi lo precede, avrà certo un impatto più deciso e capace di programmazione su un ruolo sofferente.

Tra questi meccanismi, allora, perché non immaginare incentivi economici o benefici da spendere sul piano previdenziale o della progressione di carriera, attraverso, ad esempio, la attribuzione di punteggi aggiuntivi a chi scelga di trattenersi.

E quella degli incentivi è una via del tutto adeguata se, come si diceva, si considera il fatto che il concorso in magistratura è ormai un concorso di secondo livello che si supera nella fascia di età compresa tra i trenta ed i quarant’anni.

Questo è un dato con cui ormai bisogna confrontarsi con maggiore lungimiranza, perché è concretamente difficile che molti fra i nuovi magistrati riescano a raggiungere il massimo contributivo entro l’età pensionabile: si tratta di un problema non ancora adeguatamente affrontato con il legislatore ma di cui occorre farsi carico con preoccupata urgenza.

In altri termini, se proprio si vuol dare stabilità ad un ufficio, occorre rendere appetibili quelle sedi in cui i ruoli sono scoperti da tempo ed i collegi non si possono formare; perché poi, in fondo, c’è anche da aspettarsi una sindrome da rigetto alla cura somministrata dal legislatore, ovvero che una tale prospettiva possa scoraggiare nell’immediato, specie nei magistrati di carriera, la scelta di sedi poco allettanti, così di fatto arrestando la mobilità tra uffici ed acuendo il problema della scopertura delle sedi.

C’è come l’impressione, per concludere, che il sistema lavori già al limite delle proprie potenzialità e che, pertanto, non serva a molto cambiare le cose se non si interviene sulle risorse, principalmente umane: non trattenendole poco o tanto in un ufficio, ma aumentandone la misura.

[1] Relazione tenuta in occasione del Convegno interdistrettuale Unicost Puglia “Giustizia condivisa tra funzione e servizio”, Castellaneta Marina, 22-23 settembre 2017.

[2] Ai sensi dell’articolo 194 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 – a seguito delle modifiche introdotte con il decreto-legge 31 agosto 2016, n. 168 convertito in legge 25 ottobre 2016, n. 197 – il magistrato destinato, per trasferimento o per conferimento di funzioni, ad una sede, non può essere trasferito ad altre sedi o assegnato ad altre funzioni prima di quattro anni dal giorno in cui ha assunto effettivo possesso dell’ufficio, salvo che ricorrano gravi motivi di salute ovvero gravi ragioni di servizio o di famiglia.

La pubblicazione ordinaria delle vacanze dei posti di primo e di secondo grado è disposta, di regola, due volte l’anno. Tale previsione, contenuta nella Circolare, è ora fissata dall’art. 10 bis r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (inserito dal d.l. 12 settembre 2014 n. 132, convertito dalla legge 10 novembre 2014, n. 162), il quale specifica che il Consiglio Superiore della Magistratura definisce le procedure di tramutamento entro quattro mesi.

[3] Art. 3, l. n. 197/2016. Disposizioni in materia di tramutamenti successivi dei magistrati:

1. All’articolo 194, primo comma, dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, le parole: «, ad una sede da lui chiesta» sono sostituite dalle seguenti: «, ad una sede» e le parole: «tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «quattro anni» (1).

1-bis. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano in ogni caso in riferimento alle procedure di trasferimento ad altra sede o di assegnazione ad altre funzioni già iniziate alla data di entrata in vigore del presente decreto.

1-ter. Per i magistrati che, alla data di entrata in vigore della presente disposizione, esercitano le funzioni presso la sede di prima assegnazione o, alla medesima data, sono stati assegnati alla prima sede, il termine di cui all’articolo 194, primo comma, dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, per il trasferimento ad altre sedi o per l’assegnazione ad altre funzioni è ridefinito da quattro anni a tre anni. Il presente comma si applica anche ai magistrati ai quali la prima sede è assegnata nell’anno 2017.

[4] Nel senso della collocazione dell’ordinamento giudiziario nell’ambito del diritto costituzionale si esprime G. Scarselli, Ordinamento giudiziario e forense3, Milano, 2010, p. 2.

[5] Così adesso l’art. 35, al comma 1: “Le funzioni direttive di cui all’articolo 10, commi da 10 a 13, possono essere conferite esclusivamente ai magistrati che, alla data della vacanza del posto messo a concorso, assicurano almeno quattro anni di servizio prima della data di collocamento a riposo. Le funzioni direttive di cui all’articolo 10, comma 14, possono essere conferite esclusivamente ai magistrati che, alla data della vacanza del posto messo a concorso, assicurano almeno tre anni di servizio prima della data di collocamento a riposo”.

[6] A. Sangermano, Brevi note sul Decreto Legge recante “misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di Cassazione e per la efficienza degli Uffici Giudiziari nonchè per la Giustizia Amministrativa“, in www.unicost.eu.