Terzo quesito associazione nazionale magistrati unita’ per la costituzione

Il terzo quesito attiene alla questione dei carichi esigibili e viene così formulato: “L’ANM, considerata anche l’entrata in vigore della legge sulla responsabilità civile dei magistrati, dovrebbe richiedere al CSM di introdurre entro 60 giorni i carichi esigibili, da intendersi come misura, determinata in cifra secca (come per i magistrati amministrativi), del lavoro sostenibile dal magistrato in funzione degli obiettivi di adeguata quantità e qualità del lavoro giudiziario?”

La nuova dirigenza di Unità per la Costituzione, fin dal suo insediamento, ha dedicato massima attenzione alla tematica oggetto del quesito. Abbiamo al riguardo ritenuto necessario chiedere rispetto delle prerogative della Magistratura, cui consegue la rivendicazione di condizioni di lavoro adeguate alla dignità ed importanza delle funzioni che ci sono affidate. Difatti la magistratura italiana deve avere il coraggio di rivendicare il diritto-dovere di riflettere: le decisioni sui diritti e le libertà dei cittadini e delle imprese hanno tempi incomprimibili, dettati dal dovere di riflessione e di approfondimento giuridico a garanzia dell’efficacia della risposta giudiziaria. Gli uffici giudiziari non sono aziende: la cultura dell’organizzazione è ormai per i magistrati italiani un valore quotidiano praticato ormai da anni. Le logiche gestionali vanno però coniugate in modo da realizzare una risposta giurisdizionale equilibrata fra quantità e qualità, così da scongiurare il rischio ormai quotidiano di scadere in una produttività senza qualità che finirebbe per danneggiare il cittadino cui è rivolto il servizio giustizia.

Il C.S.M. ha condiviso la nostra impostazione volta a valorizzare la programmazione gestionale degli uffici con gli strumenti previsti dall’art. 37  legge n. 111 del 2011; in tale direzione sono state individuate quelle criticità che erano emerse nella prima applicazione  della normativa entrata in vigore nel 2011, con particolare riferimento ai tentativi di aumento della produttività spesso teorizzati senza adeguata partecipazione dei magistrati dell’ufficio ed effettiva considerazione della loro capacità di smaltimento. Si è così opportunamente previsto un coordinamento del programma di gestione annuale con il D.O.G. triennale in vista del raggiungimento dell’obiettivo comune ad entrambi gli strumenti, che è quello di garantire la ragionevole durata del processo; si è previsto che detto obiettivo debba essere perseguito tenendo conto del rendimento dell’ufficio, inteso come numero di procedimenti distinto per area, settore o sezione che l’ufficio intende definire nell’anno; si è stabilito che i suddetti dati siano determinati dal dirigente all’esito di un “procedimento partecipato che tenga conto dei carichi esigibili in relazione alla tipologia di materia, al contesto territoriale e alla situazione dell’ufficio”; si è previsto ancora che siano indicati i criteri di priorità nella trattazione degli affari, al fine di offrire una risposta che coniughi in modo equilibrato il dato quantitativo con il profilo qualitativo; si è reintrodotta l’adozione del programma di gestione anche per il settore penale e per la Corte di Cassazione, prescrivendosi che si tenga conto delle previsioni organizzative in tema di criteri di priorità. 

L’organo di autogoverno, nell’ambito dei suoi compiti di amministrazione della giurisdizione,  ha quindi avviato una nuova fase che ci deve vedere tutti impegnati: attraverso l’indicazione dei criteri di priorità nei programmi di gestione, in sintonia con le previsioni contenute nel D.O.G., si deve cercare di contemperare la produttività di ogni ufficio giudiziario, la qualità della risposta alla domanda di giustizia e l’esigibilità dei carichi di lavoro gravanti sui singoli magistrati; attraverso il format, che è stato introdotto, sarà possibile da parte del C.S.M. una verifica concreta delle scelte operate dai dirigenti e dell’effettiva partecipazione dei magistrati al procedimento nonché un’analisi comparativa dei dati raccolti per tipologia di funzioni e di uffici. All’esito di questa procedura dovrebbe, a nostro avviso, pervenirsi all’abbandono di quei criteri solo quantitativi che rischiano di determinare unicamente una rincorsa di produttività, auspicandosi un superamento del dualismo fra carichi esigibili e standard di rendimento. Si tratta, appunto, di introdurre, attraverso strumenti equipollenti per i diversi fini previsti dal legislatore, un limite inferiore di quantità minima ed un limite superiore di quantità massima, oltre il quale la nostra prestazione rischia di perdere i livelli di indispensabile qualità.

Nell’ultimo congresso di Orvieto, all’esito di un’ampia discussione, ci siamo impegnati a contribuire ad elaborare una risposta concreta alla richiesta dei magistrati italiani, di pervenire alla fissazione di carichi medi nazionali di ruolo e di produttività. In tale direzione l’organo di autogoverno potrà pervenire alla fissazione di parametri medi nazionali relativi alla produttività dei magistrati italiani distinti per ruolo e funzione, nonché carichi medi nazionali di ruolo, anch’essi distinti per funzione, in modo da disporre di nuovi strumenti e criteri di valutazione del lavoro dei magistrati. Unicost vuole, infatti, elaborare una proposta che consenta di determinare numeri nazionali omogenei che tengano adeguatamente conto delle effettive condizioni di lavoro, della natura delle cause e delle priorità. La proposta è indirizzata a soddisfare l’esigenza dei magistrati di conoscere con chiarezza ed in anticipo quanto può e deve essere richiesto a livello di programmazione di lavoro tenendo conto anche di criteri qualitativi.

Si potrà così avere finalmente a disposizione un dato che dovrà rilevare tanto in sede di valutazione della professionalità quanto in sede disciplinare ed in questa direzione si sono recentemente indirizzate anche le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione Cass. sez. U. civ. n. 19449 del 21/2/2015; Cass. sez. U. civ. n. 14268 del 8/7/2015, Rv. 635988), nonché nell’ambito della nuova disciplina della responsabilità civile. 

Certo occorre essere, sul punto, concreti ed indicare delle soluzioni praticabili: in tale direzione occorre individuare dei criteri che consentano di misurare la prestazione lavorativa del Magistrato non solo in termini quantitativi, ma anche sulla base di parametri che tengano conto della qualità del lavoro espletato; si dovrebbe, così, pervenire alla fissazione del numero di cause che il magistrato può trattare e decidere in determinato arco temporale, diversificato solo in rapporto alle diverse funzioni esercitate, assicurando uno standard qualitativo medio e tempi ragionevoli di definizione; in questa direzione ci riserviamo di fornire delle indicazioni di metodo che, andando al di là dei tanti slogan fin ad oggi per lo più “strillati” possano indicare una via per trovare dei criteri uniformi di misurazione del lavoro del magistrato. Non può nascondersi, infatti, il rischio, derivante da un’enfatizzazione della tematica dei carichi di lavoro, di una deriva impiegatizia della Magistratura con danno per il prestigio di uno dei poteri dello Stato democratico; per questo è opportuno chiarire che tale dato servirebbe solo per fissare un tetto di esigibilità da valutarsi in sede disciplinare e di valutazione della professionalità; esso quindi non impedirebbe nè tantomeno disincentiverebbe produttività più alte, ove le specifiche condizioni lo consentano. In tale direzione abbiamo chiesto che si muova il C.S.M. che, nelle sue competenze istituzionali di organo preposto all’amministrazione della giurisdizione, potrà trovare le formule giuste per avviare un percorso condiviso idoneo a pervenire al dato unico nazionale di produttività; anche l’A.N.M. tuttavia, in forza della sua funzione sindacale di tutela delle condizioni di lavoro dei magistrati, potrà attivarsi nella direzione indicata, onde pervenire alla determinazione di propri dati. 

Ciò potrà rappresentare un segnale di rasserenamento per tutti i magistrati impegnati nelle varie sedi giudiziarie, ivi compresi i magistrati della Corte di Cassazione che, nel corso dell’assemblea generale del 25 giugno u.s., hanno avuto modo di assumere una forte posizione contro il sovraccarico del lavoro dei magistrati di legittimità. Infatti, anche la Corte risente di ritmi lavorativi che incidono, ineludibilmente, sui momenti di riflessione ed approfondimento necessari a rendere la pronuncia persuasiva e idonea a conseguire il consolidamento della giurisprudenza con effetti di alleggerimento del contenzioso in sede di merito.

La tematica, inoltre, è stata affrontata in modo approfondito dal Presidente dell’ANM nella sua relazione al congresso nazionale, evidenziandosi che il servizio giustizia necessiti di una buona organizzazione, la cui responsabilità, in base alla Costituzione, grava anzitutto sul Ministro della Giustizia. Sul tema dell’organizzazione, Rodolfo Sabelli, recependo in  pieno il nostro pensiero ha, tra l’altro detto: “Il corretto impiego delle risorse è responsabilità dei nostri dirigenti, che sono chiamati a elaborare buone prassi e moduli organizzativi efficaci e vigilare sul loro rispetto. Nella materia penale, ai criteri di priorità previsti dall’art. 132 bis disp. att. c.p.p. deve accompagnarsi una gestione dei procedimenti che eviti l’arbitrio della casualità, in applicazione del principio, che consideriamo irrinunciabile, di obbligatorietà dell’azione penale. Nella materia civile, occorre realizzare dei corretti programmi di gestione, secondo la procedura partecipata dettata dall’art. 37 DL n. 98/2011, che prevedano, fra l’altro, la sollecita definizione delle cause di anzianità maggiore”. E con specifico riferimento ai carichi di lavoro, Rodolfo ha sostenuto che: “I dati comparativi sulla produttività media dei nostri uffici, ricavati da ben noti studi europei, valgono a dissipare il dubbio che le disfunzioni del sistema giustizia possano dipendere dall’impegno della magistratura, giunta ai limiti delle proprie possibilità. L’origine di quelle disfunzioni va individuata piuttosto nell’entità dei carichi di lavoro, fra i più alti in Europa e sproporzionati rispetto alle capacità di assorbimento degli uffici. Il tema dei carichi, peraltro, non può essere affrontato solo in termini quantitativi, con obiettivi di mera deflazione, secondo un’impostazione di taglio aziendalistico oggi di moda, che finirebbe col trascurare l’essenza della giustizia. Riduzione delle pendenze e durata ragionevole dei processi non sono obiettivi in sé, da perseguire costi quel che costi, ma precondizioni di una giustizia efficace, da realizzare attraverso le buone regole e un’organizzazione adeguata, che preveda la corretta gestione e la concreta sostenibilità dei carichi, affinché siano assicurate da un lato la qualità del servizio che rendiamo ai cittadini, dall’altro la serenità del magistrato.

E’ stato, poi, elaborato,  a cura dell’A.N.M., il dossier sul rapporto CEPEJ 2014 – La verità dell’Europa sui Magistrati Italiani n. 4; specificamente il capitolo 2 “Il lavoro dei magistrati” contiene il raffronto dei carichi di lavoro e del numero di affari nei vari Paesi del Consiglio d’Europa ed evidenzia l’elevata laboriosità dei magistrati italiani. Il Dossier è pubblicato sul sito ANM ed è stato distribuito agli iscritti al Congresso di Bari.

Come  ogni magistrato può agevolmente comprendere, la tematica è di estrema complessità e forma oggetto della nostra azione associativa volta a individuare dei criteri di misurazione del nostro lavoro idonei a contemperare il dato quantitativo con la necessaria qualità dell’attività giurisdizionale svolta da una magistratura professionale e, nel contempo, ad introdurre dei limiti massimi di esigibilità necessari al magistrato per difendersi dalle diverse forme di responsabilità che su di lui oggi gravano.
 

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