Ufficio sindacale ANM – Massimale contributivo – 8.5.2016

Cari Colleghi,

come anticipato, l’Ufficio Sindacale ha elaborato un documento ricognitivo dei pro e contra del riscatto degli anni di studio universitario a fini pensionistici.

Si tratta volutamente di uno scritto non tecnico (non troppo almeno) e costruito in modo da rispondere ai tanti quesiti che ci sono stati posti in materia in questi giorni. Quesiti che hanno stimolato e davvero aiutato la nostra azione, inducendoci a elaborare “strategie” di contatto e relazione con soggetti esterni (nel caso INPS) che pensiamo potranno essere utilizzate in modo proficuo anche in altri settori e occasioni.

Rimaniamo tutti ovviamente a vostra disposizione, e rinnoviamo l’invito a contattarci all’indirizzo email ufficiosindacaleanm@associazionemagistrati.it e a dare la massima pubblicità allo stesso presso i vostri colleghi (visto che non tutti sono iscritti a questa ml …).

Con invito, altresì, a dare la massima diffusione possibile al presente documento.

L’Ufficio Sindacale ANM

Marcello Basilico, Pasquale Grasso, Ilaria Pepe, Alfonso Scermino

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Di seguito viene data come acquisita la generale conoscenza del meccanismo del tetto contributivo e della possibilità di evitare l’applicazione di questo tetto con il riscatto di periodi di studi universitari compiuti, nella durata legale, ante 1.1.1996 (per chiarimenti al riguardo scrivete pure a ufficiosindacaleanm@associazionemagistrati.it). 

1. Senza tetto: conviene economicamente?

La mancata applicazione del noto tetto contributivo comporta una proiezione di migliore trattamento pensionistico, in quanto la provvista della pensione viene determinata da contributi calcolati sulla retribuzione effettiva, che a partire dalla III valutazione più 1 anno, è superiore al tetto in questione.

Questo non equivale però automaticamente a dire che in termini puramente economici si tratti di una scelta in assoluto conveniente. Occorre infatti considerare che il prelievo contributivo sull’intera retribuzione (senza tetto, insomma) determina una retribuzione ovviamente inferiore (maggiori sono i contributi, minore il netto in busta paga), che viene “accettata” in vista di un trattamento pensionistico migliore.

Ma quand’è che ciò conviene?

Al riguardo occorre fare necessariamente una premessa: si parla di rinunce attuali in vista di possibili vantaggi futuri, rinunce che vengono fatte assumendo l’invarianza della legislazione pensionistica e senza poter evidentemente quantificare il numero di anni in cui si percepirà la pensione. Stiamo parlando di qualcosa che si pone in un “punto” imprecisato tra l’investimento finanziario, la speranza e la previdenza. E’, dunque, una scelta in cui sono ammissibili e anzi necessarie valutazioni di tipo personale ed anche psicologico, che coinvolgono la propria complessiva situazione economico-patrimoniale ed anche il personalissimo modo di “vedere” la propria vita, la propria famiglia, il proprio futuro.

Ciò premesso è possibile dire cosa conviene dal punto di vista economico?

La risposta dipende in primo luogo dal rapporto tra durata della prestazione lavorativa e durata del trattamento pensionistico: per quanti anni dovrò/vorrò lavorare (e potrò quindi fruire di una maggiore retribuzione se mi si applica il tetto)? Per quanti anni vivrò dopo la pensione (e potrò quindi fruire di una pensione maggiore se non mi si applica il tetto)?

La risposta dipende anche dalla destinazione della maggior somma percepita in busta paga in caso di applicazione del tetto: intendo destinare questo importo a risparmio di tipo previdenziale (per costruirmi una rendita per integrare la pensione, nel qual caso è difficile ipotizzare un rendimento superiore a quella della quota contributi del datore di lavoro che perdo in caso di applicazione del tetto)? Oppure intendo destinare questo importo ad altri tipi di risparmio/investimento? Oppure ancora intendo destinare questo importo alle esigenze di consumo della mia famiglia?

Ecco quindi che nel processo decisionale si incontrano, fortissimi, fattori di valutazione non solo di tipo individuale e psicologico, ma anche in gran parte ignoti.

Per questo, fermo restando che nei prossimi mesi verificheremo la possibilità di stipulare delle convenzioni per consentire a ciascuno di avere delle proiezioni individualizzate, per il momento è possibile fornire solo indicazioni generali.

Al riguardo l’I.N.P.S., nel tentare di elaborare per noi magistrati delle linee guida di valutazione, ha ipotizzato a titolo meramente esemplificativo un lasso temporale di 25 anni intercorrente fra la domanda di riscatto ed il collocamento a riposo, nel qual caso la minore entrata complessiva (minore stipendio + onere riscatto) sarebbe inferiore rispetto all’incremento di pensione, se percepita per 15 anni.

Deve però sottolinearsi che se la voce “onere riscatto” ipotizzata dall’I.N.P.S. dovesse radicalmente ridursi (per effetto del riscatto di un solo mese del corso di laurea, già sufficiente ad evitare il tetto) la minor entrata complessiva sarebbe inferiore rispetto all’incremento di pensione, anche se percepita per meno di 15 anni.  I colleghi che si sono impegnati a ipotizzare calcoli differenziali hanno suggerito di considerare circa 150-200 euro mensili netti di stipendio in più (nel caso di applicazione del tetto contributivo) a fronte di un trattamento pensionistico di circa 1.500,00-1.800,00 euro netti mensili in più (in caso di non applicazione del tetto contributivo); ipotizzando come corrette queste proiezioni (ipotesi che ci attiveremo per verificare), la minore entrata complessiva sarebbe sicuramente inferiore rispetto all’incremento di pensione, anche se percepita per meno di 15 anni.

Segnaliamo infine il profilo della pensione di reversibilità, che, seppure solo a legislazione vigente, potrebbe costituire un fattore rilevante nel caso in cui il nucleo familiare del magistrato sia monoreddito.

A ciascuno le proprie valutazioni.

2. Senza tetto: è sufficiente riscattare solo 1 mese? 

Per evitare l’applicazione del tetto contributivo è sufficiente il riscatto anche di una sola mensilità del periodo di studi universitari effettuato, nella durata legale, in data anteriore al 1.1.1996. Ciò in quanto la legge n. 335/95 prevede che il tetto non si applichi ai lavoratori in possesso di anzianità contributiva (anche da riscatto) a detta data, senza fissare requisiti contributivi minimi; la necessità di parametrazione mensile deriva dal fatto che essa costituisce la misura minima della prestazione contributiva.

3. Senza tetto: conviene riscattare TUTTI gli anni di studio ?

In caso di riscatto di tutti gli anni del corso di laurea il costo da sostenere per il riscatto (enormemente più ingente rispetto al costo di un solo mese) diventa un altro profilo da considerare in punto convenienza economica del riscatto.

I colleghi che in questi giorni hanno ricevuto i famosi conteggi, si sono visti richiedere – per l’intero corso di studi – somme variabili tra i 27.000 e i 37.000 euro, pur trattandosi di soggetti che avevano presentato domanda di riscatto subito dopo l’ingresso in magistratura (altrimenti si tratterebbe di somme esponenzialmente maggiori).

Pur considerate le agevolazioni fiscali, la rateizzazione senza interessi e il miglior trattamento pensionistico futuro, molti si chiedono se convenga, per ottenere una pensione più alta, pagare TUTTA questa somma o se non sia meglio riscattare solo 1 mese (sempre tenendo presente i ragionamenti in precedenza svolti).

Ancora una volta va sottolineato che non esiste una risposta univoca.

Si potrebbe, da parte di ciascuno, valutare se la somma richiesta possa essere investita (perché è quello che si fa, in definitiva) in altro modo; oppure, lo si ripete, verificare se c’è necessità di avere qualche anno in più di contribuzione (vedi in seguito). Va poi considerato che, nel caso di riscatto, gli anni di studio universitario andranno a costituire una parte della provvista pensionistica (le c.d. quote A e B) che verrà calcolata con il sistema retributivo (in genere considerato più favorevole). Sarebbe utile conoscere il “valore” di questa quota del trattamento pensionistico e rapportarla al costo attuale del riscatto. Tuttavia i dirigenti INPS e alcuni consulenti del lavoro da noi contattati ci hanno spiegato che, considerati tutti i fattori di calcolo del montante pensionistico, una puntuale valutazione al riguardo non sarebbe possibile o comunque seria.

E’ dunque possibile ribadire solo le suesposte indicazioni generali: l’INPS, nel tentativo di sviluppare linee guida di aiuto alla valutazione, ha evidenziato che ipotizzando un’aspettativa di vita di 85 anni e, dunque, un arco temporale di circa 15 anni di trattamento pensionistico, l’incremento di pensione dovrebbe essere complessivamente superiore all’esborso di riscatto sostenuto per i 4 anni, ricordando che detto vantaggio si riverbera anche sul calcolo della eventuale pensione di reversibilità.

4. Quanto riscattare: sono vincolato alla scelta iniziale del quantum ?

La scelta della misura del riscatto (da 1 mese a 4 anni) può essere fatta in qualsiasi momento “in decremento”: si intende dire che anche chi abbia, a suo tempo, domandato il riscatto dell’intero periodo di studi, potrà optare per un periodo minore in fase di conferma del riscatto (la fase in cui si trovano i tanti colleghi ai quali in questi giorni sono arrivati i conteggi dell’importo di riscatto), e pure in fase di pagamento, essendo prevista la possibilità di interrompere il pagamento in corso senza perdere la contribuzione acquisita per effetto dei pagamenti effettuati; stiamo verificando le modalità operative per l’eventuale interruzione del pagamento in caso di prelievo automatico sulla busta paga.

5. E’ preferibile il pagamento rateizzato?

Nulla impedisce di pagare l’importo di riscatto in un’unica soluzione, ma si tratta di un’opzione non conveniente: 1) è prevista la possibilità di rateizzazione del pagamento senza interessi [1]; b) le somme a tal fine pagate annualmente sono attualmente  (art.10 Tuir e circolare n. 7/2001 dell’Agenzia delle Entrate) deducibili ai fini IRPEF nella misura del 43% delle somme annualmente versate.

[1]        Per le domande presentate prima del 2008, la rateizzazione massima è corrispondente al periodo oggetto di riscatto (quindi se riscatto 4 anni di università, posso ottenere 48 rate; se riscatto 2 anni, 24 rate, e così via); per le domande presentatedopo il 2008vi è il diritto a ottenere la rateizzazione fino a 10 anni (120 rate, dunque).

6. Il riscatto determina necessariamente la maturazione anticipata del diritto alla pensione?

Il riscatto dell’intero periodo universitario (o comunque di periodi maggiori di 1 mese), salvo casi limite di improbabile verificazione [2]non determina anticipazioni del momento del pensionamento: per i magistrati soggetti a regime misto (cioè coloro che riscattano almeno 1 mese, o che comunque hanno contributi ante 1.1.1996) il diritto alla pensione di vecchiaia si matura con almeno 20 anni di contributi al raggiungimento dell’età di 66 anni e 7 mesi (soglia che viene aggiornata in aumento ogni 2 anni); i magistrati in contributivo puro (insomma chi non riscatta nulla) maturano il diritto alla pensione di vecchiaia con lo stesso requisito e in aggiunta la necessità che il trattamento pensionistico sia di 1,5 volte superiore alla pensione sociale.

Diversa la questione per la pensione anticipata, cioè la c.d. pensione di anzianità: per i magistrati cui il primo contributo decorre dal 1° gennaio 1996, il diritto alla pensione anticipata si consegue al compimento del requisito anagrafico di 63 anni, a condizione che siano in possesso di un’anzianità contributiva effettiva di almeno venti anni e che l’ammontare della prima rata di pensione risulti non inferiore ad un importo soglia mensile, quantificato per l’anno 2012 in misura pari a 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale. Per la generalità dei lavoratori del sistema misto invece il diritto in questione si matura al raggiungimento di requisiti contributivi minimi diversi (41 anni e 10 mesi per le donne e 42 e 10 mesi per gli uomini, aggiustati periodicamente in base all’evoluzione della speranza di vita all’anno di maturazione del relativo diritto). Si noti che in caso di riscatto di anni di laurea, si viene assoggettati a regime misto, così che la pensione anticipata è soggetta ai requisiti più stringenti di cui si è appena detto.

Va tuttavia segnalato che operando il riscatto, le donne rinunciano alla possibilità – invece prevista per i lavoratori soggetti a regime pensionistico contributivo puro – di anticipare di 4/8/12 mesi l’accesso a pensione di vecchiaia in caso di figli. 

[2]           Si dovrebbe ipotizzare, in riferimento alla pensione di vecchiaia, un collega entrato in magistratura – senza alcuna pregressa contribuzione – a 42 anni e 7 mesi, che dunque avrebbe bisogno del riscatto di 4 anni di università, se svolta tutta ante 1.1.1996, per raggiungere il requisito minimo dei 20 anni di contribuzione al compimento dei 66 anni e 7 mesi; analoghi ragionamenti valgano in riferimento al pensionamento a 70 anni, ovvero alla pensione di anzianità.

7. Con il riscatto ci possono essere problemi di “buco contributivo”?

Il periodo riscattato (1 mese, nell’esempio ricorrente) viene imputato temporalmente all’inizio del primo anno accademico (novembre dell’anno di immatricolazione); non vi sono quindi problemi di calcolo “a ritroso” dal momento dell’ingresso in magistratura, né di c.d. buco contributivo, che è istituto/concetto estraneo alla presente problematica.

8. Per riscattare servono certificazioni?

Ai fini del riscatto degli studi universitari NON è necessario presentare alcun certificato, nemmeno quello di laurea, sussistendo addirittura un divieto normativo al riguardo nel rilascio di dette certificazioni da parte delle amministrazioni pubbliche e parificate. Unico onere del richiedente è indicare nell’autocertificazione relativa al periodo di studi universitario l’anno di immatricolazione e la durata legale del corso di studi. 

9. Esistono equipollenti al riscatto?

Per gli uomini, è certamente rilevante ai fini dell’esclusione del tetto il servizio militare  (o servizio civile equiparato) prestato almeno in parte ante 1.1.1996. Si tratta di contribuzione figurativa (quindi non si paga nulla) riconosciuta con la semplice comunicazione di avvenuta prestazione del servizio in questione. Fino a qualche anno fa la comunicazione relativa alla prestazione del servizio di leva veniva effettuata obbligatoriamente al momento della partecipazione al concorso in magistratura; data la diversa finalità di detta comunicazione, riteniamo prudenzialmente di consigliare – a chi abbia prestato detto servizio ante 1.1.1996 – una specifica nuova comunicazione al riguardo all’I.N.P.S., chiarendo che la stessa viene effettuata al fine di ottenere la contribuzione figurativa a scopo pensione.

Per le donne, un meccanismo in qualche modo analogo a quello del servizio militare (cioè esenzione dal tetto contributivo senza onere alcuno) deriva dall’art. 25 del d.lvo n.151/01, in forza del quale la lavoratrice che abbia avuto un figlio ante 1.1.1996, se a tale data non era occupata lavorativamente, ha diritto a ottenere contribuzione figurativa per il periodo di 5 mesi corrispondente all’astensione obbligatoria per maternità. In questo caso è necessaria specifica domanda all’INPS. Per effetto della completa parificazione del padre alla madre a detto fine, va ritenuto possibile riconoscere detta contribuzione figurativa (ove non richiesta dalla madre) al padre. Si tratta comunque di situazione ipotizzata in assenza di precedenti noti.

10. Decadenze et similia.

Non è configurabile una rimessione in termini per chi avesse fatto domanda di riscatto e successivamente rinunciato allo stesso. E’solo possibile presentare una nuova domanda e comunicarlo al datore di lavoro ai fini della non applicazione del tetto. Come ormai noto, il costo del riscatto è influenzato dall’età anagrafica, sesso e stipendio percepito al momento della presentazione della domanda di riscatto, con una scala di costo che sale in progressione geometrica. Pertanto, anche se è possibile presentare domanda di riscatto sino a due anni prima dal collocamento a riposo, è ovvio che la convenienza del riscatto diminuisce esponenzialmente con il passare degli anni, sia perché il riscatto stesso è molto più costoso sia perché il riscatto consente di evitare l’applicazione del tetto solo per l’epoca successiva alla presentazione della relativa domanda.

Ci sono stati comunicati casi di rigetto della domanda di riscatto in quanto inserita telematicamente nella sezione sbagliata del sito internet INPS (ossia in una sezione diversa rispetto a quella corretta della gestione ex INPDAP). Il consiglio, in caso di domanda di riscatto presentata recentemente, è di non presentare ricorso ma di proporre una nuova domanda, vista la concreta assenza di sostanziali differenze di costo per una domanda che, in definitiva, risulterà presentata poche settimane dopo.

[1] Per le domande presentate prima del 2008, la rateizzazione massima è corrispondente al periodo oggetto di riscatto (quindi se riscatto 4 anni di università, posso ottenere 48 rate; se riscatto 2 anni, 24 rate, e così via); per le domande presentate dopo il 2008 vi è il diritto a ottenere la rateizzazione fino a 10 anni (120 rate, dunque).

[2 ] Si dovrebbe ipotizzare, in riferimento alla pensione di vecchiaia, un collega entrato in magistratura – senza alcuna pregressa contribuzione – a 42 anni e 7 mesi, che dunque avrebbe bisogno del riscatto di 4 anni di università, se svolta tutta ante 1.1.1996, per raggiungere il requisito minimo dei 20 anni di contribuzione al compimento dei 66 anni e 7 mesi; analoghi ragionamenti valgano in riferimento al pensionamento a 70 anni, ovvero alla pensione di anzianità.

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