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Intervento di Alessandro Riello
Troppo spesso noi giovani
magistrati siamo abituati a pensare che la nostra formazione sia un
qualcosa di slegato dalla nostra principale prerogativa:
l'indipendenza.
Intendo dire che siamo spesso indotti ad illuderci che avere una
adeguata preparazione giuridica sia l'unico presupposto per essere
dei bravi magistrati.
Io credo invece che solo se noi siamo davvero indipendenti
possiamo dirci magistrati degni di questo nome: l'indipendenza è e
deve essere considerata una componente della nostra
professionalità, e la profonda consapevolezza del nostro ruolo
istituzionale costituisce non un elemento accessorio, ma l'essenza
stessa della giurisdizione.
Forse questa riduttiva concezione cui facevo riferimento è il
risultato degli anni che precedono l'accesso in Magistratura, in
cui - per volontà del legislatore - vi è stata e forse vi è ancora
un'esasperazione del nozionismo e della formazione teorica.
Non credo che l'avere concepito il concorso in magistratura come
un concorso di secondo grado sia in quanto tale una scelta da
definire sbagliata.
Ma ciò che è inaccettabile è che la fase del post-laurea finisca
per essere non un momento di approfondimento della preparazione, ma
un periodo di "decantazione" dei giovani laureati, anche di quelli
davvero meritevoli, che finiscono per essere in questo modo
ingiustamente equiparati a coloro i quali non hanno le idee chiare
sul proprio futuro.
L'obiettivo - dichiarato, mai nascosto, del legislatore - di
innalzare l'età media di accesso in magistratura, insomma di non
avere "giudici-ragazzini", non può essere un valore di per sé
positivo, per la semplice ragione che il solo passare degli anni
non basta a rendere più preparati.
A cosa è dunque necessario tendere? Io credo che occorra riempire
il periodo successivo al conseguimento della laurea di contenuti
formativi efficaci, con particolare riferimento alle Scuole di
Specializzazione per le Professioni Legali, che non possono essere
delle "aree di parcheggio", ma devono essere la sede privilegiata
per un reale affinamento qualitativo della cultura universitaria e
non un suo stanco prolungamento.
A tale proposito la previsione di tirocini negli uffici giudiziari
è da salutare con favore, così come un plauso va alla Scuola
Superiore della Magistratura per aver ascoltato i giovani
magistrati e per avere calibrato la formazione iniziale rendendola
sempre più completa, sempre più ricca di occasioni di confronto
anche in contesti internazionali, in definitiva davvero in grado di
consentire, all'atto dell'assunzione delle funzioni
giurisdizionali, un know how che non sappia di naftalina, ma sia al
passo con i tempi.
Siamo consapevoli che oggi tutte le funzioni giudiziarie sono
molto più complesse che in passato, che il grado di
specializzazione richiesto è molto più elevato, che quindi la
preparazione giuridica è sì la pre-condizione dell'essere dei bravi
magistrati, ma è cosa diversa dall'essere dei magistrati
equilibrati, calati nel contesto in cui operano, in grado di
assumere decisioni guidate unicamente dalla legge, ma sorrette
dalla consapevolezza del loro impatto all'esterno.
In definitiva, formazione di magistrati significa formare dei
giuristi, ma anche e soprattutto infondere quella passione che è
alla base della scelta di svolgere questo lavoro, trasmettere una
salda cultura dei doveri che tuttavia non si trasformi
nell'ossessionante timore, nell'assillo di essere sottoposti a
procedimento disciplinare perché questo ci trasformerebbe in
burocrati e questo non può essere mai, men che meno all'inizio
della carriera.
Il vero pericolo per la magistratura, ammoniva Calamandrei, "non
viene dal di fuori, è un lento esaurimento interno delle coscienze,
che le rende rassegnate; una crescente pigrizia morale che
preferisce alla soluzione giusta quella accomodante perché non
turba il quieto vivere e perché l'intransigenza costa troppa fatica
(…) Il conformismo è una malattia mentale (…), il terrore della
propria indipendenza (…)" un'ossessione che non spinge a piegarsi
alle pressioni, " ma se le immagina e le previene in
anticipo."
Formare nuovi magistrati, quindi, non può voler dire solo
erudirli, ma plasmare uomini liberi: diceva qualcuno che è di essi,
prima ancora che della libertà, che vi è penuria.